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alba di metallo

Creato il 11 maggio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

alba di metallo

Alba

alba di metallo
…comunque sia, le stanze della memoria sono gonfie di vento e ogni uomo ha un motivo buono per star con le spalle al muro, aspettando la prossima esecuzione a cielo aperto. Qualcuno ha preferito morire prima che l’alba gli baciasse la fronte un’ultima volta; ma questa è già un’altra storia.

Al di là delle pareti della casa di Alfred, l’abbaiare dei cani: la loro animalità s’accompagna a quella degli uomini. Gridano assassino.
La strada in salita, forte come l’affanno nel petto; ma aveva ammazzato per una ragione precisa. La pioggia, la sua sferza sulla faccia. I campi se li era lasciati alle spalle. Cadde in ginocchio sprofondando dentro a una pozzanghera che ci si poteva annegare. In bocca ancora il sapore del sangue e quello delle lacrime. Rivide sé stesso davanti ad Alfred: la canna della pistola aveva fatto in fretta a vomitare via la pallottola. Sul petto dell’amico d’un tempo una rosa di sangue perfetta. Non bastarono le lacrime a cancellare il rosso sul corpo esanime di Alfred.

E la fuga a rotta di collo.

Alla sera

Quando si dice che il silenzio è sacro, o d’oro.
Odio esser svegliato: non dormo molto solitamente, ma non ci provate a svegliarmi quando dormo. Mordo per far male.

Rincaso, stanco, sfatto: due minuti dopo, driiin. Mi chiedo: “Chi cazzo è?”
Rispondo al citofono.
Oddio! Bestemmio, ma in silenzio e solo dico, con quanta più calma m’è possibile: “Agnostico, ateo, in pratica completamente andato.”
E quelli erano uno e una: “…”
M’attaccano una solfa di quelle che manco Cristo ai suoi dodici discepoli o apostoli che fossero – o che credevano d’essere tra pesci e pani moltiplicati.
Glielo ripeto che sono ateo e agnostico, ma quelli sordi da entrambi gli orecchi. Non capiscono mica. Allora m’affaccio alla finestra e mi mostro loro. Ecco, mi fissano, puntano i loro occhi sù di me, si trovano di fronte il mio mostaccio scimmiesco. Tossisco nicotina e rabbia. Capiscono. Chinano il capo. Poi, sconfitti, battono per la ritirata.
Io l’ho sempre detto che quando il pensiero non riesce a far capire, l’unica è tornare ad essere naturalmente barbari.

Party

“Voi di sotto, all’Inferno…” Ma è un silenzio quello che urlano.
Che c’è? baccano? E’ solo uno stupidissimo party. Non c’è nessuno, solo poche anime, io e quattro suore di carità.
“Piantatela con tutto questo silenzio! Non lo reggo più. Voi dei piani alti, voi vi credete forse in Paradiso? credete davvero di poter rompere le scatole a ogni cristo, a tutte le ore del giorno, con questo cazzo di silenzio?”
Tacciono. Non m’aspettavo una risposta diversa dal solito silenzio che so da troppi anni.
Sorrido. Metto sù un disco, un trentatrè giri: aggiusto la puntina, qualche scricchiolio, poi la voce calda, di rasoio, di Leonard Cohen comincia a riempire la stanza.
Tu mi vieni incontro: sei vestita bene. Ti sei vestita da suora, però hai i tacchi alti e la gonna ha uno spacco che lascia immaginare – che fa star male.
“L’hanno beccato Alfred?”
Non ti rispondo, perché non lo so. Però ti offro un bicchiere di buon vino rosso. E tu scoppi in una risata che è un colpo di rasoio per la mia anima. Ho l’anima che si scioglie in sangue e il peccato è tutto tuo, perché tu l’hai provocato come un miracolo.
Bevi tutto il vino, fino all’ultima goccia. Mi restituisci il bicchiere vuoto. E’ così triste per me. E’ vuoto, totalmente, come se mai fosse stato riempito. Se solo m’avessi lasciato una goccia di rosso vino, quanto sarei stato contento non lo puoi immaginare. Ma io sì. Immagino troppo, è questo il problema.
Prendo il cordone che ti lega alla vita – che ti lega la vita. Ma tu, con uno sguardo, mi fai capire che non è per me. Che non fa per me.
“Ci sono le mie amiche, tre per l’esattezza…” Ma lo so che è una bugia. Lo so che lo dici solo per tranquillizzarmi. Io volevo soltanto te, la quarta. Le altre tre sono una finzione, lo so.
“Si prenderanno cura di te, non ti preoccupare.”
“Sì, forse hai ragione”, acconsento alla fine, ma solo per farti credere che… Ah, non lo so che cosa ti vorrei far credere. Però tu mi sei davanti, e lo spacco s’allarga e le tue bianche lunghe gambe non posso fare davvero a meno di notarle.
Il disco è finito. Perché c’è tutto questo silenzio? Non lo desidero, non per me.
‘Toglimi da questo imbarazzo. Spogliami dell’anima’, penso e sono già morto.

Appunti sul Diario

Le luci sono basse. I puntini di sospensione sono tanti, praticamente un mare sconfinato. Li leggo, ma solo quelli, perché delle parole non ne afferro il senso. Penso il Vuoto: è devastante. Correggo una sbavatura d’inchiostro caduta sul corpo d’un foglio: il mio diario. E’ una macchia solitaria per sempre affogata nei puntini di sospensione. Non voglio… non ci riesco a cancellarla.
Una lama di luce mi ferisce gli occhi. Un lampione o la luna? Forse è il sole che s’è fatto strada, mentre io ero qui a leggere. E’ jazz ogni puntino, è anadiplosi l’anima che ho tormentato, ma invano.

Mangiapeccati e Luddisti

“Ce l’hai due monete d’oro?”
“Prima dimmi a che ti servono… Poi, forse, te le darò.”
“Per i peccati.”
”E il pane ce l’hai?”
“Quello sì.”
”Il pane è il vero oro. Il pane agli affamati e ai mangiapeccati.”
“Il pane costa l’ira di dio. Hai ragione.”

Il cadavere è lì, al suo posto, rigido, immobile, freddo, quasi bello. E la televisione è accesa ma senza audio: si vedono facce scure, incappucciate, una croce di fuoco, poi un mare di nevischio che dura qualche secondo. Le immagini tornano: si vede una folla di manifestanti, sono armati, stringono in mano calcinacci e bastoni, danno addosso alle macchine parcheggiate, spaccano le vetrine, allargano le bocche, prendono tutto quello che trovano, mostrano i loro trofei come in guerra… la polizia li carica… Ancora nevischio. Un corpo è a terra: un proiettile gl’ha trapanato la testa, gl’ha spappolato una tempia, il cadavere ancora caldo riposa in una pozza di nero sangue.

“Potresti pure spegnerla…”
“Mi tiene compagnia.”
“Sì, ma potresti spegnerla.”
“I bigodini, quelli potresti levarteli adesso. Hai una testa che sembra un cavolfiore.”
“Non posso.”
“Perché?”
“Devo andare dal dentista.”
”Non mi dire che…”
“Sì, è successo di nuovo. Ho staccato un pompino e m’è saltata un’otturazione.”
“Che gli racconterai?”
“Niente. Vado solo dal dentista. Starò in sala d’attesa aspettando il mio turno. Leggerò una rivista, una delle tante. Leggerò il solito racconto pornografico, uno dei soliti, di quelli che puoi leggere solo in uno studio dentistico.”
“E’ un po’ triste.”
“Più che altro io direi che è noioso. Invece quando stacco un pompino al dentista, dopo mi salta un’otturazione come minimo. Il brutto è quando mi trovo in sala d’attesa costretta a leggere un racconto che… Lasciamo perdere. Mi sa che fanno bene i luddisti.”
“Spaccano tutto.”
“E’ perché i processi automatici hanno tolto il pane di bocca a tutto il proletariato.”
“Sei dalla loro parte…”
”Sono.”
“Le monete d’oro?”
“Quasi me ne dimenticavo. Ecco, prendile.”
“Sono… sono due capsule d’oro…”
“Andranno bene lo stesso.”
“Te le regala il dentista, non è forse così?”
“A volte me le regala. Ma queste gliel’ho fregate.”
“Sei terribile. Peggio di Giuda.”
“?”
“Ah, non fare quella faccia stranita. M’hai capito benissimo.”
“No, non ho capito. Ma va bene lo stesso.”

La televisione gracchia. L’audio. Ma è disturbato. Vomita parole su parole, ma non è possibile afferrarne il senso.

“C’è il telegiornale.”
“I giornalisti che stanno in tv sono ben peggiori dei dentisti.”
“Uhm, temo che tu abbia ragione. Però non ci sono mai andata in tv. Non ci sono mai stata con uno di quelli.”
“Forse dovresti cominciare…”
“Non sono così puttana da farmela con tutti.”
“Non ti piace granché il protagonismo.”
”Non mi piace affatto. E’ stupido, più d’ogni insipido racconto che leggo in sala d’attesa.”
“Allora non leggerli.”
“E come me lo faccio passare il tempo… mentre aspetto?”
“In bagno.”
“Che intendi?”
“Ti puoi sempre masturbare.”
“Non è una cattiva idea. Alle volte sai essere molto saggio.”
“Grazie.”
“Dovresti prenderti cura del cadavere. E’ freddo. Freddissimo ormai.”
“Sì, adesso mangerò il pane sul suo corpo.”
“E il sale?”
“Ah, il sale! Ho solo dello zucchero. Andrà bene lo stesso?”
”Boh! Forse.”
“Ormai non posso far diversamente. Pane e zucchero e due capsule d’oro. L’anima del morto si dovrà adattare a questi tempi moderni e pure gli dèi tutti.”
“Che presuntoso!”

Sex online

“Ce l’ha grosso e duro.”
”Chi te l’ha detto?”
“Lui.”
”Non l’hai mai visto.”
”Ho visto una foto del suo cazzo.”
“Ma non la sua faccia. Non puoi esser certa che quel coso sia il suo.”
“Non ne posso essere certa, ma qui siamo nel virtuale e solo conta che uno possa credere anche all’impossibile.”
“Tu stai troppo tempo davanti al monitor. Non ti fa bene.”
“Tu guardi troppi pornazzi.”
“Sì, ma rigorosamente in VHS.”
“E allora?”
“Niente. Tu sei una puttana del web, io un segaiolo.”
“Non sono una puttana.”
“Il mio era un complimento: almeno in rete non rischi l’Aids o peggio, tranne nel caso…”
“Che vai blaterando?”
“Be’, se un giorno tu dovessi decidere d’incontrare quelli con cui chatti…”
“Stronzo. La stessa cosa vale per i tuoi VHS.”
“Faccio prima a spararmi una sega, e basta. Richiederebbe troppo impegno cercare di rintracciare una troia vista in un film. Troppi soldi. Se proprio non dovesse esser sufficiente una sega, faccio prima ad andare a puttane… Già, con quelle che battono sul marciapiede.”
Silenzio.
“Hai letto il giornale di oggi?”
“No.”
“Hanno trovato il corpo di uno.”
“Uno che conoscevo?”
“No.”
“Ed allora perché me lo dici?”
“Perché… non lo so. Ma forse andava a puttane. Forse per questo l’hanno ammazzato.”
“Lo pensi tu. Il giornale che dice?”
“Niente. Solo che si chiamava Alfred.”
“Sbaglio o è il nickname di quello che t’ha inviato la foto del suo cazzo?”
“E tu come fai a spermarlo?”
“Invochi il suo nome quando dormi.”
”Sei un bugiardo.”
”Ho visto il suo nickname, solo quello, ma non l’ho fatto apposta. E’ solo colpa tua: stai sempre davanti al monitor e giù di ditalini.”

Braccato

Non c’è controllo
Lo so
Accadrà
Braccato
Per sempre preso nella morsa

Guardare i tuoi occhi stanchi di morte
Guardare i miei tempi sulle ciglia

Ho chiuso la porta alle mie spalle
Ho perso soltanto il cervello

Le stanze della memoria gonfie di vento. Ogni uomo ha un motivo più che buono per star con le spalle al muro, aspettando la prossima esecuzione a cielo aperto. Semplicemente braccato.

Alba di metallo

Alfred lo sapeva già da tempo che proprio quel giorno sarebbe morto. Si era da poco rasato e il suo nudo volto era sulla superficie dello specchio. Due monete d’oro erano già gli occhi. Erano così belli. Come, come separarsene?

Alla porta. Era giunto dunque.
Lasciò cadere il rasoio nel lavandino.

Di fronte a lui sovrapposto al suo riflesso nello specchio.
“E’ l’alba? è il tramonto?”
“E’ il tempo. Alba e tramonto congiunti.”
“Per questo mi ucciderai?”
L’assassino, un cenno d’assenso con la testa.
“Non vale più la nostra amicizia…? Preferirei morire a cielo aperto per vedere…”
“Il fungo è grande. E’ cresciuto.”
“Capisco. Non indugiare ancora. Spara!”

Non bastarono né le lacrime salate né il sapore dolciastro del sangue a cancellare il rosso sul corpo esanime di Alfred.


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