Il corso è stato realizzato anche grazie all’impegno profuso dal comitato organizzativo composto da: Vito Buono, Antonella Strisciuglio, Marco Di Sapia, Giovanni Calabrese, Natale Parisi e M. Irene Paolino.
1) D. (Legrottaglie) Come nasce il Cesforia?
R. (Prof. Botta) Sono un docente di politica economica. Ho dedicato particolare attenzione alle questioni dello sviluppo ed ho molto lavorato sulla Puglia. Ho pensato che la fine della separazione tra le due rive potesse essere una buona occasione per fare sviluppo. Quando i nostri vicini sono tornati si è intensificata la possibilità di fare scambi e di andare in quei paesi, a partire dall’Albania, e per loro di tornare in Italia. Mi è sembrato che potesse essere una buona occasione, perché ho molto lavorato sull’idea che la prossimità possa essere una risorsa. Quando si è vicini ci si conosce. Si possono avere rapporti di buon vicinato o rapporti più intensi. Da questo nasce l’idea. Ne ho parlato con i presidi di due facoltà dell’Università di Bari: quello di scienze politiche e di lingue e letterature straniere che sono i soggetti promotori di Cesforia. Sono loro che mi hanno dato una mano sulla possibilità di un centro che lavorasse proprio sulle relazioni interadriatiche per creare un luogo di incontro, di scambio di idee.
2) D. Come si concretizza in realtà l’incontro tra le due sponde dell’Adriatico?
R. Una delle prime idee che ci è venuta è quella di offrire in Italia uno spazio per gli studenti che lì facevano fatica a parlarsi. Lei sa che gli albanesi e i serbi non si parlano, ma anche i croati e i serbi, idem i macedoni e gli albanesi. Abbiamo pensato di organizzare un corso di due settimane in Italia usando la nostra lingua, la lingua italiana per incontrare studenti, per parlare e per fare in modo che loro si parlassero e questo ha funzionato benissimo. Siamo già al sesto anno di questo corso. E’ un corso riservato agli studenti della riva orientale che conoscono l’italiano. Aver scelto l’italiano è una risorsa, ma nel contempo un limite. E’ una rete che si costruisce in primo luogo con gli istituti di italianistica di quei paesi e loro ci aiutano a selezionare gli studenti. Noi chiediamo studenti che non siano solo studenti di facoltà letterarie, economia, scienze politiche, giornalismo. Ogni anno c’è sempre un’apprendista giornalista. Progressivamente abbiamo capito che non si trattava di far conoscere loro la nostra cultura, ma che sempre di più avremmo potuto lavorare sulle relazioni interadriatiche.
3) D. Da quanti anni è nato il Cesforia?
R. Siamo partiti come facoltà di scienze politiche e di lingue e letterature straniere poi progressivamente è nato il Cesforia. Il centro è nato da due anni. Poi, finalmente siamo riusciti ad avere l’adesione della Regione Puglia che ci aiuta a finanziare l’iniziativa. Agli studenti che vengono qui noi offriamo vitto e alloggio, ma chiediamo loro di pagarsi il viaggio.
4) D.. Quali sono stati i punti di forza del VI corso di relazioni interadriatiche?
R. Ogni corso ha un tema monografico; ha una questione che sta al centro del lavoro che svolgiamo. Quest’anno era costruire e raccontare l’Adriatico. E’ stato molto interessante poiché abbiamo colto una minore tensione verso le questioni nazionali e come se sull’altra sponda si avesse più voglia di parlare di Europa, di relazioni tra le due sponde. In alcuni anni abbiamo avuto un po’ di difficoltà: le questioni albanesi, le questioni del Kosovo, della Serbia creavano tensione dentro. La novità è che questo nostro corso attira sempre di più anche studenti italiani. Ormai abbiamo una forte domanda di uditori, di giovani studenti che sono incuriositi dalle questioni adriatiche.
5) D. Se avete percepito minori tensioni interetniche e statali non crede che questo sia dovuto al ricambio generazionale? A vent’anni dell’inizio delle guerre nei Balcani i giovani di oggi possono non avere ricordi di quegli avvenimenti tragici?
R. Si, certamente. Questo lo si coglie negli studenti che provengono dalla ex Jugoslavia. Quest’anno era molto bello. I serbi, i croati, i macedoni parlavano tra di loro facilmente in quella lingua che ormai non esiste più: il serbo-croato. Adesso c’è un grande impegno affinché il Montenegro abbia il montenegrino e la Croazia usi la sua lingua. Malgrado questi sforzi per creare una separazione gli studenti erano lì tutti insieme e chiacchieravano in una lingua che li unisce ancora. Con gli albanesi è un po’ più complicato. Loro devono parlare necessariamente in italiano se vogliono intendersi con gli slavi.
6) D. Le edizioni Besa Controcorrente divulgano in italiano gli scrittori balcanici. Questo vi aiuta nella vostra missione?
7) D. La sorpresa di quest’anno è stata la presentazione di un’antologia sulla letteratura macedone. Come è stato divulgare la letteratura macedone ai pugliesi?
R. Non è stata la prima volta. L’anno scorso per esempio abbiamo presentato la letteratura montenegrina e Besa ne sta preparando altre. Non c’è stata l’emozione della prima volta. C’è stata invece una conferma della bontà di questa operazione. Io credo che per essere buoni vicini bisogna conoscersi. Queste antologie che Besa promuove sono ottime occasioni per conoscere una letteratura che è molto intrigante ed interessante.
8) D. I paesi della ex Jugoslavia si presentano ancora nell’immaginario collettivo come un luogo di sofferenza, un luogo pericoloso in cui forse è meglio non andare con riferimento a questioni internazionali ancora non risolte. Invece, si scopre che oltre Adriatico ci sono poeti, scrittori, registi e un grande fermento culturale. Non crede che questo vostro corso contribuisca ad abbattere i pregiudizi?
R. C’è una scarsa attenzione nei confronti di questi paesi. Noi con il nostro corso contribuiamo a fornire informazione e quindi facciamo un lavoro utile. La verità è che gli scambi tra le due rive sono ormai molto intensi e miglior, rispetto al passato. Chi fa turismo nautico racconta che i rapporti con i croati siano in qualche modo più distesi rispetto a qualche anno fa. Io conosco parecchia gente che prima preferiva andare in Grecia con la propria barca anziché in Croazia, perché diceva che i greci erano più cordiali, ma ora ha cambiato idea. Forse perché ci si conosce meglio, forse perché l’Italia ha rinunciato a qualunque ambizione territoriale, certo è che i rapporti tra i croati e gli italiani sono molto migliorati. Chi poi frequenta quei paesi scopre come la situazione è interessante, piacevole sia per vacanza che per fare impresa. I dati economici dicono che il commercio estero, le importazioni e le esportazioni sono davvero molto significative. Per un paese come l’Albania, la Puglia è certamente ai primi posti per la presenza di imprese e tutti raccontano che si lavora bene con gli albanesi.
9) D. L’autovettura Fiat 500 Lounge viene prodotta in Serbia. Lei come vede lo sviluppo serbo alla luce della delocalizzazione di imprese italiane e internazionali?
R. La delocalizzazione delle imprese e gli investimenti esteri, la presenza italiana in tutti quei paesi è ormai una realtà consolidata. La novità di questi anni sta nel rilancio di una forte presenza che c’era già nel passato. Quindi non è una novità assoluta. Credo che sia una cosa interessante che si intensifichino le relazioni economiche con questi paesi. I problemi ci sono, ma sono legati non tanto agli investimenti in Serbia ma al fatto che bisognerebbe fare investimenti anche in Italia. Cosa che la Fiat in questi anni non ha fatto. Penso che bisogna costruire buone relazioni con i nostri vicini. Gli economisti vedono da sempre i mercati di quei paesi e i mercati italiani come complementari. Essere complementari significa che in qualche modo i mercati e le economie possono integrarsi facilmente. I paesi balcanici hanno materie prime che noi non abbiamo ed hanno competenze che possono esserci utili. Si può lavorare bene insieme. Quando le cose hanno funzionato, quando non c’erano ostacoli politici la complementarietà ha dato il meglio di sé, ha portato buoni risultati sia da noi che nei paesi vicini.
10) D. I Balcani quindi sono un’opportunità per l’economia italiana. A Bari si è conclusa non da molto la Fiera del Levante. La 76^ edizione è stata caratterizzata dall’assenza dei paesi di oltre Adriatico. Lei in questo non vede una contraddizione?
R. La Fiera del Levante sta attraversando un periodo difficile, come tutte le fiere. Spero che la Fiera torni ad svolgere il ruolo di essere un buon ponte. Si è progettata sempre come una fiera del Levante, guardando più al Mediterraneo che ai paesi balcanici. Io che auspico un’Europa adriatica, un pezzo di Europa che aiuti il resto della Unione a misurarsi con il Mediterraneo, auspico che la Fiera possa svolgere un ruolo in questa costruzione. Abbiamo bisogno di portare in Europa quei paesi europei che sono nei Balcani, ma che non sono ancora nella Unione. L’Europa ha bisogno di quel pezzo di Europa che sta nell’Adriatico e che guarda al Mediterraneo. Spero veramente che la Fiera del Levante possa contribuire a questo nostro progetto.
Vincenzo LEGROTTAGLIE