
Vive in Algeria, nella sua Algeria, l'Algeria che è dei francesi che si sentono diversi dai francesi che abitano l'altra sponda del Mediterraneo. E su un giornale di Algeri, modesto nei mezzi più che nelle ambizioni, firma un reportage in undici puntate: una sua inchiesta sulla schiavitù e la miseria della Cabilia, terra tra mare e monti baciata dalla bellezza della natura e dannata dagli orrori dell'uomo.
E' un piccolo grande libro da leggere, Miseria della Cabilia, questo il titolo scelto da Aragno per l'edizione italiana (e meno male che possiamo ancora contare su piccoli e medi editori capaci di proposte del genere).
Da leggere perché ci racconta molto sull'Algeria, anche alla luce di tutto ciò che è successo dopo, dalla guerra di liberazione fino alla terribile guerra civile di non troppi anni fa.
Da leggere anche per Albert Camus. Non per lo scrittore che sarà, ma per il giornalista che è: capace di far buon giornalismo, giornalismo allo stesso tempo militante e di verità. Senza nascondere niente, a costo di incorrere nelle reazioni della censura. Senza nascondersi, a dispetto anche delle proprie convinzioni.
Nella bella prefazione che precede il reportage Laura Barile afferma che senza questo rapporto con la verità non si riuscirebbe nemmeno a capire il personaggio più grande e inquietante uscito dalla penna di Camus, il Meursault de Lo Straniero.
Perché, infatti, Mersault non sta al gioco? Cosa rifiuta? Lo stesso Camus risponde nella prefazione all'edizione universitaria americana dell'opera del 1955: "La risposta è semplice. Rifiuta di mentire... Lo anima la passione dell'assoluto e della verità".
Sulla passione per l'assoluto ci sarebbe di che dire. Ma sulla passione per la verità basta aprire queste pagine. E sentirne il richiamo.