I passi compiuti in questi ultimi anni dalle donne per raggiungere la parità o quanto meno il rispetto e la dignità del proprio ruolo non sembrano mai essere abbastanza. Specie quando ci viene ricordato, in questo caso ci pensa il film Albert Nobbs, quante ingiustizie abbiano dovuto subire nei secoli per raggiungere uno status vagamente paragonabile a quello maschile.
Albert – a dispetto del nome – è una donna che, a causa di alcune feroci umiliazioni subite da giovanissima, ha deciso di nascondere il proprio sesso (mi viene in mente il cartoon Lady Oscar), anche per non soccombere a un destino da cameriera o prostituta. Figlia illegittima, cresciuta da una donna pagata per nasconderle le sue origini, sta mascherando da ormai trent’anni la sua appartenenza al genere femminile e lavora come apprezzato maggiordomo presso il Morrison’s Hotel di Dublino. Da qui parte l’avventura di Albert, che tra peripezie e bugie a fin di bene cercherà di raggiungere una somma tale da permettergli l’emancipazione attraverso l’acquisto di una piccola tabaccheria e vivere finalmente felice: ma il suo modus vivendi comincerà a mostrare delle crepe il giorno in cui il piacente Signor Hubert, residente occasionale dell’hotel nelle vesti di imbianchino, ne scoprirà il segreto, senza però denunciarlo. Grazie a questa improvvisa e inattesa amicizia, Albert si confronta d’improvviso con un mondo che gli è assolutamente ignoto e si risveglia dal suo torpore emotivo, desiderando improvvisamente anch’egli una vita famigliare al fianco della capricciosa cameriera Helen, persa dietro a una giovane fiamma…
Glenn Close da molto tempo cercava di portare sullo schermo questa storia bella ma amara che già aveva recitato nel 1982 in teatro. Vi è riuscita solo dopo trent’anni, grazie all’aiuto dell’amico regista Rodrigo Garcìa, che qui dà vita a una messa in scena elegante e composta come si addice al ritratto di un maggiordomo. Il regista riesce pienamente a cogliere il punto e a portarci nel tempo che fu, tra voglia di vivere, o meglio sopravvivere a tutti i costi, giungendo, infine, a costruire una riflessione triste e profonda sull’ identità negata e sulle relazioni come fuga alla solitudine.
Un film da tutti i punti di vista piacevole, mi piace molto l’idea di portare al cinema determinate tematiche da sempre combattute ma quasi dimenticate, tra i mille problemi che c’attanagliano in questi due anni, capiremo anche che, per fortuna, chi nasce tondo, non muore quadro.