con Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Jonathan Rhys Meyers, Brendan Gleeson, Janet McTeer
Irlanda
2011
Albert Nobbs è un cameriere preciso, impeccabile e riservato. Svolge da trent’anni la sua mansione, facendo una vita ritirata e piena di rinunce. Ha il grande sogno di aprire una sua attività e per questo risparmia ogni singola sterlina. Albert Nobbs è tutto questo, ma molto altro. Egli nasconde un importante segreto: è una donna, la quale per poter lavorare e vivere nella sua epoca si ritrova a fingersi uomo e lo resterà per tutta la vita. Siamo nell’Irlanda del diciannovesimo secolo e forse essere uomo permette di avere una vita meno complicata. Quando nell’albergo nel quale lavora arriva un imbianchino, molte cose cambieranno. Albert avrà finalmente l’occasione di aprirsi a qualcun altro, di confidarsi ed iniziare a fare qualche progetto speciale.
Ripreso da una pièce teatrale, presentata nel 1982 e interpretata sempre da Glenn Close, Albert Nobbs arriva finalmente nelle sale dopo una lunga gestazione. Ne viene fuori un film ricco di spunti di riflessione. Molte le tematiche toccate, la più importante quella della ricerca della propria identità fisica. Albert è una donna che per trent’anni indossa una maschera che finisce per divenire la sua stessa natura. Isolata in se stessa, chiusa dentro un silenzio e un dolore insopportabile. Ed ecco anche il punto debole della pellicola che pur trattando il tema della personalità e della natura umana, manca di tracciarne un carattere più intimo e psicologico al personaggio. Molte le domande che assillano lo spettatore a fine pellicola: Albert è una donna che soffre nel proprio corpo e che vorrebbe veramente essere uomo o è una donna che recita una parte, ma in verità vorrebbe esprimere tutta la sua femminilità? Albert sogna di sposarsi per ottemperare ai bisogni della società che impongono un matrimonio per essere ben visti o è realmente innamorato? Tematiche toccate, ma non approfondite lasciano al film un senso di provvisorietà, che se invece fossero state analizzate, sarebbe risultato molto più interessante. Invece il regista Rodrigo Garcia preferisce raccontare la storia più da un punto di vista storico, mettendo in luce le differenze tra i ricchi e la servitù.
Nel 1800 essere donna era difficile e, spesso, doloroso. Le cameriere, trattate come oggetti, erano alla mercé dei loro padroni viscidi e opportunisti. Epoca difficile dove il denaro era la prima forma di autenticità. Così Albert, senza genitori o parenti, decide di fingere di essere un uomo per assicurarsi almeno un briciolo di dignità.
A riempire la pellicola è una immensa Glenn Close, giustamente candidata all’Oscar, che interpreta in modo convincente Albert. Occupatasi anche della sceneggiatura, riesce a trasmettere il vuoto che sente dentro di sé. Non stupirebbe affatto se riuscisse anche a vincere. Altra candidatura all’Oscar, stavolta però come attrice non protagonista, è toccata a Janet McTeer che interpreta Hubert Page, l’amico e confidente di Albert.
Insomma un film che aveva tutti gli elementi per venire fuori splendidamente, ma che ha preferito non decollare e rimanere in superficie mancando di quel carattere psicologico ed interiore che sarebbe stato l’elemento chiave e di svolta di tutta la storia.
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Pubblicato su: Cinema4stelle