Alberto Angela in Italia non ha bisogno di presentazioni. Da oltre vent’anni il pubblico televisivo è abituato a vederlo, da solo o con suo padre Piero, tra scavi archeologici e opere d’arte, mentre spiega con parole comprensibili le bellezze e i misteri della storia.Programmi universalmente apprezzati come SuperQuark e Ulisse sono ormai pietre miliari nei palinsesti della Rai.
Ho incontrato Alberto Angela per farmi raccontare qualcosa di sé e dei suoi ultimi lavori, mandati in libreria da Rizzoli e dedicati alle più grandi bellezze italiane: Viaggio nella Cappella Sistina e I bronzi di Riace. L’avventura di due eroi restituiti dal mare. Usciti entrambi nei mesi scorsi, sono piccoli tesori da collezionare.
Come è nato il libro sulla Cappella Sistina?
L’idea nasce da Rizzoli che aveva un archivio di immagini meravigliose della Cappella Sistina. Foto che danno l’impressione di poter volare e avvicinarsi agli affreschi di Michelangelo. Grazie a questo patrimonio fotografico è nato un libro che permette di portarsi la Cappella Sistina in casa, di averla nella libreria. Viaggio nella Cappella Sistina è un libro che permette di “respirare” le opere e sentire il senso del bello. L’idea è quella di raccontare la storia dell’epoca, la fine del medioevo e l’ingresso nell’età moderna, ovvero la scoperta del bello che va in parallelo con i lavori della Cappella Sistina. Ma la Cappella Sistina non è soltanto Michelangelo, è anche tanti artisti che sono riusciti a lavorare molto bene insieme. Ecco, nel libro c’è tutto questo, oltre a molte curiosità sia storiche che artistiche, come alcune tecniche sperimentali, effetti ottici che da venti metri non si potrebbero vedere.
Quale è stata la cosa più difficile nella sua realizzazione?
Io avevo già fatto una puntata del mio programma sulla cappella Sistina ma il lavoro è stato certamente complesso. I miei collaboratori ed io abbiamo parlato con storici dell’arte, consultato libri, raccolto le testimonianze dei restauratori che a volte ti raccontano cosa significa tirare fuori un colore
che è rimasto sepolto per secoli sotto uno strato di fuliggine o sotto strati di restauri successivi.C’è una cosa che non sapevi e che ti ha affascinato di più in questo viaggio artistico?
Sì. ho scoperto che il primo a finire un’opera dentro la Cappella Sistina è stato un artista che nessuno conosce, di cui nessuno più si ricorda, che si chiamava Piermatteo d’Amelia. Lui aveva dipinto una volta stellata, ma una crepa attraversò la Cappella Sistina e chiamarono Michelangelo per rifarla. È un dettaglio minore, ma mi ha colpito perché per questo artista la Cappella Sistina è come una foto di gruppo in cui lui, pur facendo parte della squadra, non appare.
Poi la cosa che più mi ha impressionato è che Michelangelo, pur essendo uno scultore, sapesse fare quegli affreschi. Gli stessi restauratori dicono che è complesso trattare gli affreschi di Michelangelo perché usava tecniche miste. Mi hanno davvero stupito le sue capacità camaleontiche.
Tu sei un divulgatore che si è occupato di tutte le epoche e di tutti gli aspetti culturali, artistici e antropologici: dai siti archeologici, ai viaggi nel cosmo fino alle tribù in via di estinzione. Ma qual è la cosa che più ti appassiona di più studiare?
Se c’è un mondo che trovo molto stimolante è quello dell’antica Roma, perché il nostro modo di pensare viene da lì. L’antica Roma è stata la prima globalizzazione della storia, il loro mondo è il nostro, noi non abbiamo fatto altro che ripetere ciò che avevano fatto i romani. Il diritto l’alfabeto, gli acquedotti, le strade che usiamo sono le loro. Entrare nella mente degli antichi romani significa capire la nostra società e trovare anche le possibili soluzioni per il futuro.
Quando hai deciso che avresti seguito le orme di tuo padre? È stata una scelta precisa?
No, in realtà io sono paleantropologo e per dieci anni ho lavorato negli scavi di paleontologia umana in Africa. Sono stato chiamato dalla Tv Svizzera, che aveva filmato alcuni di questi scavi, per parlare del nostro lavoro e si sono accorti me la cavavo piuttosto bene davanti alle telecamere. Così, mi hanno proposto di fare un programma, io ho accettato e nel 1990 è andato in onda in Svizzera, Albatros, che poi è stato comprato da Telemontecarlo. In quel modo stato visto dagli italiani senza mai aver fatto nulla per la Tv italiana. A partire da lì mio padre ed io abbiamo cominciato a lavorare insieme, ma non c’era mai stata prima l’intenzione di farlo.
Cosa si può fare in Italia per promuovere la cultura e fare in modo che la gente legga, studi e si informi di più?
Credo che i programmi televisivi di divulgazione scientifica aiutino i libri e la diffusione della cultura, perché stimolano la curiosità e possono invogliare il pubblico ad approfondire, sono una specie di trampolino. Certo, oggi c’è molta concorrenza, con Internet, tutto è più veloce, ma il libro è insostituibile. È vero che in Italia si legge poco, però si fa cultura anche in altre sedi, nei musei, nei siti archeologici, che certamente vanno gestiti meglio, ma sono senz’altro utili. La Tv ha un ruolo importante. Noi andiamo in onda il sabato sera e il pubblico c’è. Non credo che in tutti i Paesi ci siano programmi divulgativi come il nostro in prima serata.
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