Poster del film tratto dall'omonimo romanzo.
Magazine Cultura
Primo e ultimo romanzo dello scrittore Alberto Méndez, “Los girasoles ciegos” (I girasoli ciechi) è una raccolta di quattro racconti accomunati da una stessa cicatrice, quella della guerra civile spagnola, che solca tanto la memoria collettiva quanto la narrativa spagnola dell’ultima metà del secolo. Una piaga che chi ha vissuto non potrà mai dimenticare e per questo motivo viene esorcizzata e rammentata con la cura della scrittura, che allo stesso tempo riaccende quella sofferenza per alimentare la consapevolezza del male nelle menti dei futuri cittadini. Più che soffermarsi sugli anni della guerra civile, l’autore descrive quelli del post-guerra, che hanno segnato l’inizio della dittatura di Francisco Franco. Ogni racconto porta nel titolo l’anno di riferimento e ha come protagonista uno dei tanti volti anonimi della guerra, quelli della gente comune: gli sconfitti, le ombre, i girasoli ciechi che cercano di sopravvivere al buio e a stento si trascinano in una vita senza sole. I racconti che mi hanno fatto toccare con mano quella ferita ancora aperta sono stati il secondo e l’ultimo, intitolati rispettivamente: Manuscrito encontrado en el olvido e Los girasoles ciegos, nome dell’intera raccolta, perché in esso confluiscono tutti. Le ultime parole ritrovate in una sorta di diario abbandonato vicino ad alcuni cadaveri riportano in vita l’autore di quelle righe, un giovane, un padre, un già vedovo, che accanto al corpo inanime della sua donna, cerca di sopravvivere al freddo e alla fame per poter prendersi cura del loro figlio, appena nato, senza un nome, senza un bacio, senza una carezza. Tanto secco e reale strazio descritto in prima persona e riportato dalla voce del narratore che saltuariamente interviene per chiarire passaggi, assenze o pagine scritte in modo particolare. Una vita al buio è anche quella dell’ultimo anonimo protagonista, costretto a vivere in un armadio perché datosi per morto pur di non dover morire realmente in quanto oppositore al regime. Ma può chiamarsi vivere il nascondersi in un armadio, il condividere la quotidianità di una famiglia a luce spenta e nel silenzio? Certo, è un libro triste, tristissimo. Non si potrebbe documentare diversamente quel capitolo oscuro della storia. Ma quanta realtà in quella tristezza e quanta vita in quello smarrimento. Vincitore di diversi premi nazionali. E non poteva essere altrimenti.