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Alberto Mori su “Ossa per sete” di Sebastiano Adernò – NEM 2013

Creato il 11 febbraio 2014 da Wsf

ossa per sete

Lo stilita è immobile con le braccia alzate nel suo vestito di sacco.
Solo. Non ha sguardi per il deserto, ma per il cielo.
Si affacciano solo voci alle sue orecchie ed ai suoi sensi.
Disseterà il mondo con la sua verità?

Tanti piccoli refoli di vento si alzano come interrogazioni nelle pagine di questo libro e trafiggono questo corpo che le vuole mutare in una nuova unità. Necessita forza per sostenere il cielo vuoto: “Morto io Dio si dovrà sostenere sulle sue gambe” (p.52)

Il tempo biblico nella rotazione delle voci crea effetto metafisico nello spazio: le parole di Ossa Per Sete sono dinamiche e verticali e le figurazioni bibliche ed evangeliche degli interlocutori le inscenano con una rappresentazione che viene dall’invisibile e si concreta nel corpo:“Con gli occhi insaccava solo pieghe mentre ogni passo segnava altre crepe” (P.17),“Cacciò loro in bocca terra e tempesta” (p.18)

Queste azioni spirituali e fisiche danno alla lettura dei versi un impatto profetico negandone contemporaneamente il distacco oracolare ed incarnando di presenza le voci.

Denti, braccia, gambe, ossa, questo è sempre infatti il divenire “live” del corpo rispetto al mondo dove le pietre per Adernò sono davvero pietre non nomi e miracoli relativi ad un episodio evangelico (vedi S. Stefano p.29) e da qui nasce una sorta di tenace sordità che vuole affondare il verbo nella terra, nella sua scorza, in una sorta di revolte, di sovversione che un poco richiama George Bataille nella sua decomposizione e ricomposizione del pensiero:“Per cosa verrà / tra le pietre / dormono giovani e irriverenti serpi” (p.41)

Quando questo impatto aumenta e si fa incalzante la tentazione ad un assoluto del corpo rispetto al nome, cresce l’enigma di un parto mal riuscito, di una dannazione presente:
”il maestro di miserie ” deve sputar fuori anche l’inumano: “filare fantasmi con la saliva” . Ora è divenuto noi attraverso la faglia dell’altro, degli altri.

Ossa Per Sete è obliquo e frontale. Si pone in un vortice di luce di carne ed enigma, ma allo stesso tempo mostra ogni volta lo spacco del sacro e la ferita del nome.

Alla fine, dopo i rigurgiti di una scelta che vuole dire le cose, Sebastiano Adernò suggerisce un’altra sete: quella di meraviglie.
Il deserto è stato attraversato con la fatica delle parole e del corpo, ora siamo all’inizio dell’illusorio: andiamo verso miraggi ulteriori.

Alberto Mori


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