La polemica relativa la presunta soppressione dell’albo dei giornalisti pubblicisti (tecnicamente i “non professionisti”, quelli per i quali l’attività giornalistica non è la principale fonte di sostentamento, in realtà gran parte delle “maestranze” che mandano avanti la baracca dell’informazione in Italia) si è affievolita un po’ per il Capodanno, un po’ perché la rabbia iniziale sta lasciado il posto a un approccio più razionale
Ricapitolo. In estate il governo Berlusconi vara il Decreto legge n. 138, che all’articolo 3 comma 5 prevede una serie di nuove disposizioni che riguardano tutti gli ordini professionali. Il comma in questione si apre con questo “cappello” iniziale:
Fermo restando l’esame di Stato di cui all’art. 33 comma 5 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:
Il preambolo è seguito dall’elenco dei “principi” (dalla “a” alla “g”). E’, tuttavia, ciò che viene riaffermato in questo cappello, congiuntamente ad alcune nuove norme introdotte nelle lettere seguenti, ad aver creato più scompiglio. Antonello Antonelli (membro del Consiglio regionale dell’Ordine dell’Abruzzo) ha spiegato:
2. Le interpretazioni che sono state date a questo comma 5 sono quasi del tutto univoche (ne abbiamo discusso anche nel nostro Consiglio regionale dell’Ordine): se l’accesso all’Ordine è condizionato ad un esame di Stato, allora i pubblicisti sono automaticamente “fuori legge”, in quanto sono all’interno di un Ordine ma senza che la legge preveda esami per il loro ingresso (il colloquio che alcune regioni, compreso l’Abruzzo, hanno introdotto per i pubblicisti non è assimilabile ad un esame di Stato).
Il decreto viene convertito in legge e successivamente modificato dalla legge di stabilità (la 183 dell’11 novembre) L’articolo 33 del “decreto Monti” (il 201 convertito con legge 214 del 22 dicembre) interviene a sua volta introducendo il comma 5-bis:
5-bis Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5, lettere da a) a g) sono abrogate con effetto dalla di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012.
Premesso che, in ogni caso, a partire dal 13 agosto 2012 qualcosa dovrà cambiare, si registrano a questo punto due interpretazioni divergenti di esponenti autorevoli dell’Ordine. La prima è quella del presidente nazionale Enzo Iacopino, che in un lungo e dettagliato post, ha cercato di calmare gli animi, sostenendo che l’abolizione dell’albo non sta scritta da nessuna parte. Questo il passaggio saliente:
La legge in vigore prevede l’abrogazione delle norme esistenti solo nelle parti che sono in conflitto con le lettere da a) a g) dell’articolo 33 (è un refuso, l’articolo in questione è il 3 del decreto 138, n.d.r.) comma 5. Il legislatore non ha scritto, ad esempio, che vengono abrogate le norme che siano in contrasto con quanto previsto dall’articolo 33 comma 5 fino alla lettera g) compresa. Ma solo con quanto dettato dalle lettere da a) a g).
Il primo capoverso del comma 5, dunque, non è richiamato: era questo che faceva riferimento all’esame di Stato ed è questo che aveva indotto i colleghi pubblicisti ad una ribellione sacrosanta, che ho cercato di rappresentare al presidente Monti, pubblicamente nel corso della conferenza stampa e, sia pur brevemente, in privato.
Sia chiaro, non so come finirà. So che non accetterò la mortificazione di questa professione con la penalizzazione dei colleghi pubblicisti. So, per quel po’ di cultura giuridica che ho e di informazioni che ho assunto, che nessuno può richiamare legittimamente quel primo capoverso del comma 5 dell’articolo 33 (sempre il 3 n.d.r.).
Di diverso parere è invece Franco Abruzzo, fino al 2007 presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Che scrive (in tono abbastanza polemico, evidentemente tra i due non corre buon sangue…):
Chi ha frequentato le facoltà di giurisprudenza o di Scienze politiche sostiene nel primo anno l’esame di Diritto costituzionale o di Diritto pubblico e, quindi, sa perfettamente che le leggi hanno un cappello che guida la lettura di tutto l’articolato. Questo principio è stato rispettato dal Governo Berlusconi quando ha varato il dl 138/2001 convertito dal Parlamento con la legge 148/2001. Questa legge è importante perché contiene un articolo 3, comma 5, che disegna la più radicale riforma degli ordinamenti professionali dopo 30 anni di dibattito.Va letto in simbiosi con le direttive comunitarie che dal 1988 in poi richiedono ai professionisti una laurea almeno triennale e un “esame attitudinale” (equivalente al nostro esame di Stato previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione, per “l’abilitazione all’esercizio professionale”). E’ altresì noto che le direttive comunitarie prevalgano sulla normativa interna o nazionale.
e più avanti:
Il comma 5 dell’articolo 3 del dl 138/2011 (convertito dalla legge 148/2011) letto unitariamente dà per scontato che l’accesso a tutte le professioni intellettuali è vincolato al superamento dell’esame di Stato previsto dall’articolo 33 (V comma) della Costituzione (equivalente alla prova attitudinale di cui alla direttiva comunitaria n. 89/48/CEE oggi assorbita nel dlgs 206/2007). Finora era stato tenuto sotto traccia il vero problema che tormenta il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti: i pubblicisti, che, in base al comma 5 citato, non hanno futuro. Se è vero che l’accesso alle professioni è vincolato al superamento dell’esame di Stato – (per i giornalisti professionisti è così in base agli articoli 29 e 32 della legge 69/1963 come interpretati dalla II sezione del Consiglio di Stato con il parere 2228 depositato il 7 maggio 2002; n della sezione 448/2001) -, i pubblicisti scompaiono dalla vita dell’Ordine dopo 83 anni dalla istituzione giuridica di questa figura avvenuta con il Rd 384/1928. Il presidente del Consiglio nazionale stenta a comprendere che, dopo il dl 138/2011 e il varo dei connessi decreti attuativi, ai Consigli regionali dell’Ordine sarà vietato procedere alla iscrizione di nuovi pubblicisti.
Chi dei due avrà ragione? Staremo a vedere. Intanto buon anno a tutti, giornalisti, blogger, media-attivisti, con patente o senza.