Uno dei più grandi innovatori nella Storia dell’Arte è stato Albrecht Dürer. Molto (forse troppo) è stato detto sulla sua storia e sulla forte carica simbolica presente nelle sue opere. Un aspetto che poco si conosce di questo grande artista tedesco, invece, è relativo ai numerosi viaggi compiuti, soprattutto in Germania e Italia, durante i quali provò la necessità incontenibile di trovare un punto d’unione fra Nord e Sud di un’Europa sempre più divisa, soprattutto dal terremoto religioso che stava dando una nuova connotazione al Vecchio Continente. La Germania del ‘500 era una fucina di grandi fermenti artistici, supportati da un commercio molto fiorente, causa scatenante di un grande benessere economico e dell’annesso risveglio culturale. È in questi anni che si sviluppa il fenomeno della Wiedererwachung tedesca (Rinascimento tedesco), un movimento con una serie impressionante di punti di connessione con il Rinascimento italiano, anche se non fu altrettanto prolifico e longevo, tanto che durò sfortunatamente solo una trentina d’anni e si spense con le tristi dipartite dei tre più grandi pittori tedeschi dell’epoca: Dürer, Holbein e Cranach. Albrecht Dürer nacque nella città di Norimberga, centro del ciclone culturale, nel 1471 e ricevette dal padre, orafo di professione, quell’imprinting che lo renderà uno dei più apprezzati incisori di tutti i tempi. Il suo talento artistico eruppe all’età di 13 anni, quando Albrecht si sedette davanti allo specchio e realizzò il suo primo autoritratto, che metteva in mostra un talento spontaneo nell’uso della matita. Grazie alle agiate condizioni familiari, Albrecht poté permettersi il lusso di viaggiare per forgiare la propria cultura. Viaggiò per la Germania per 4 anni, durante i quali riuscì a mantenersi come illustratore di libri, attività che non solo gli permise di farsi conoscere al pubblico ma anche di far pratica e perfezionare quell’Arte che sino a quel momento era puramente innata.
I suoi numerosi viaggi non si limitarono solo alla scoperta del mondo germanico; le esperienze più importanti che stravolsero il suo modo di vedere e considerare l’Arte, infatti, le visse a Venezia, dove si recò per la prima volta durante il suo viaggio di nozze, che però compì senza la compagnia della moglie. Così scoprì il Rinascimento italiano, un modo completamente nuovo di intendere l’Arte, il Bello, la Prospettiva e la ricerca estetica: scoperta che lo segnò nel profondo, e che lo porterà a rivoluzionare (anche se per poco tempo) il panorama artistico tedesco. Tornando dal suo primo viaggio veneziano, Albrecht si sentì pronto per aprire la sua prima bottega d’Arte, a Norimberga, nel 1495. Risale a questo periodo la fantastica tela dell’Adorazione dei Magi, testimone della Rinascita tedesca, portata a termine tra il 1504 e il 1505. In quest’opera osserviamo come Albrecht abbia ricevuto una prima infarinatura sulla prospettiva, che in Italia aveva raggiunto un alto livello di perfezionamento e di resa, al contrario del mondo germanico che era rimasto molto legato al mondo medievale e al forte appiattimento delle figure. Non possiamo non notare come Dürer voglia rimanere fedele al suo essere tedesco pur riuscendo ad italianizzare magistralmente uno stile molto razionale quale quello del suo Paese. Gli aspetti più “italiani” di questa tela sono senza dubbio la presenza delle antiche rovine architettoniche, tipiche dell’Arte religiosa italiana che utilizzava questo aspetto come simbolo del Vecchio Testamento. Enorme l’attenzione che Albrecht mette nel dipingere le vesti dei protagonisti. Le stoffe sembrano quasi reali, sono dei broccati incredibili e vengono resi con velature che accentuano il carattere realistico, creando non solo un aspetto tridimensionale impressionante ma addirittura quasi richiamando la sensazione tattile.
Nonostante questi enormi spostamenti verso l’Arte italiana del Rinascimento Dürer non smetterà mai di essere fortemente tedesco; in questa stessa opera possiamo notare un’estrema attenzione alla Natura e al Realismo: fra le crepe delle rovine possiamo notare erbacce che sono cresciute e che se estrapolate dal contesto in cui sono state inserite potrebbero essere tranquillamente inserite in tavole enciclopediche, data la loro altissima perfezione e fedeltà al Reale. Altro importante aspetto: l’antisemitismo. Nell’opera in analisi, notiamo ancora un giudeo ritratto mentre ruba i preziosi da una delle borse dei Re Magi; così come nell’opera Cristo fra i dottori del 1506, in cui i dottori sono sgraziati e ripugnanti. Questo antisemitismo non è da intendersi come una posizione personale di Albrecht; era in Germania, infatti, un “sentimento” molto diffuso. Dürer è stato il primo pittore a firmare ogni sua singola opera, lusso che spesso veniva permesso solo ai nomi più importanti dell’Arte; anche se lui andrà molto oltre, non limitandosi a firmare le opere ma creando il suo monogramma, tipico delle culture orientali (probabilmente conosciute grazie ai suoi viaggi a Venezia) e tipico della nostra cultura contemporanea in cui il monogramma è considerato non solo un simbolo distintivo di un marchio ma un vero e proprio stile sociale o culturale. Una decina d’anni più tardi, Albrecht compì un secondo viaggio in Italia. Questo secondo viaggio, durato dal 1505 al 1507, lo introdusse alla conoscenza dei colori della Scuola Veneta, ai principi del Rinascimento e, aspetto non meno rilevante, all’amore per una giovane veneziana che ritornerà in qualche sua opera lasciando una sua impronta nella storia, ma rimanendo tristemente anonima. Grazie a questa serie di esperienze e ricerche stilistiche possiamo tranquillamente definire Dürer come il primo vero artista intellettuale del Nord Europa.
Nel 1505 Albrecht dedicò una tela alla giovane donna che lo colpì così fortemente grazie alla sua dolcezza. Davanti a questa tela ci sembra di sentire un’eco molto forte dei ritratti realizzati da De Predis, Leonardo o Tiziano, che certamente l’artista aveva conosciuto e apprezzato grazie alla sua insaziabile curiosità. Il ritratto è intriso di quella Bellezza tipica dell’Arte italiana ma ci parla anche di una precisione incredibile che richiama alla giovinezza di Albrecht e alle ore passate con il padre nella sua bottega di oreficeria. I capelli della donna sono stati dipinti uno ad uno e sono stati anche risollevati con la biacca per dare una maggiore impressione di lucentezza e di morbidezza tipica dei capelli femminili. La stessa donna la possiamo ritrovare nei panni della Vergine nell’opera Festa del Rosario del 1506. Qui osserviamo anche un autoritratto dell’autore che sembra adorare la Vergine (o forse la donna amata?). All’età di circa 50 anni, verso il 1520, compì un viaggio nei Paesi Bassi del quale ci sono rimasti innumerevoli schizzi, che possono essere tranquillamente considerati alla stessa stregua degli scatti di un moderno reportage fotografico. Attraverso questi schizzi, sì rapidi ma estremamente precisi, possiamo vivere l’impressione di essere presenti insieme al grande Maestro. Durante questo viaggio Albrecht contrasse molto probabilmente la malaria e fu assalito da febbri molto forti. Data l’impossibilità di essere visitato dal suo medico curante, realizzò un ultimo autoritratto in cui segnalò al medico la sua milza ingrossata, specificando che premendola soffriva forti dolori, quasi per permettere al proprio dottore di avere un quadro clinico e poterlo visitare (virtualmente). Purtroppo l’artista non riuscirà a debellare la malattia e trapasserà nel 1528, tornato nella sua amata città natale.