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ALCATRAZ (2011)
Ideatori: Steven Lilien, Bryan Wynbrandt, Elizabeth Sarnoff
Attori: Parminder Nagra, Sarah Jones, Jorge Garcia,
Sam Neill
Paese: USA
Per un periodo J.J. Abrams è stato sinonimo di grandi speranze. Tuttora non si è probabilmente ben capito il motivo, se perché capace di vendere i suoi prodotti come grandi promesse o se per meriti reali. Del resto, a conti fatti, il produttore/sceneggiatore/regista/compositore/tutto cosa ha fatto di così sensazionale in fatto di prodotti seriali? Nulla. Aveva ideato “Alias” che è stata forse l'unica a mantenere un certo livello, più che godibile, per tutte le sue stagioni; poi l'esplosione di “Lost”, il telefilm che per tre stagioni è stato davvero un evento ma che col senno di poi non meritava affatto un simile entusiasmo. Del resto è anche abbastanza ovvio, al di là dei meriti tecnici, intendiamoci, riuscire a tenere incollati allo schermo gli spettatori infarcendo ogni singola puntata con un numero infinito di misteri, non preoccupandosi poi di risolverli nelle stagioni successive, se non con soluzioni blande e prive anche solo di un 10% del fascino creato dai misteri stessi; “Fringe” si è fin da subito mostrato piatto e fatto con gli scarti del suo precedessore, con personaggi banali e del tutto anonimi – tranne Bishop, chiaramente – oltreché con soluzioni di sceneggiatura avvincenti quanto una corsa di lombrichi; ed ora “Alcatraz”. Non l'hai ideata lui, ma l'ha prodotta e soprattutto ricopre il ruolo di produttore esecutivo. La sua mano è infatti evidente, tanto che la sensazione di già visto si impossessa prepotentemente e fin da subito dello spettatore. E quando poi si legge che il tuttofare americano ha richiamato direttamente da “Lost” Elizabeth Sarnoff e Bryan Nurk i conti cominciano tristemente a tornare.
Non che il soggetto non sia un biglietto da visita in sé già abbastanza esplicativo. Si legge di un'isola, e si è già preda del terrore più incontrollabile. È Alcatraz. A quanto pare nel 1963 le cose non sono andate come tutti noi sapevamo. Alcatraz non ha chiuso i battenti per i costi elevati. In realtà tutti, guardie e detenuti, svanirono nel nulla. È chiaro. Rebecca Madsen (Sarah Jones) e Diego Soto (Jorge Garcia) sono rispettivamente una agente di polizia e un criminologo che ha dedicato gran parte dei suoi studi al carcere di massima sicurezza. Emerson Hauser (Sam Neil) è il detective che si occupa degli strani casi ad esso collegati, che sa tutto ma che non dice niente; strani perché a quanto pare i vecchi prigionieri hanno cominciato a ricomparire, senza peraltro essere invecchiati. Madsen e Soto entreranno a far parte della task force di Hauser.
Anche solo a scriverla questa sinossi ci si annoia. Come accennato poco sopra, la sensazione di aver già visto tutto è palpabile, a partire dai collage che Abrams si è divertito a fare. Prende l'isola, i presunti spostamenti nel tempo e Hugo Reyes da “Lost”, la poliziotta bionda, che questa volta sembra ancora più intelligente dell'altra, e la trama semi-verticale da “Fringe” (attraverso le indagini autoconclusive sul prigioniero ricomparso del giorno). Al termine “Alcatraz” non ha una sua identità neanche a pagarla. Ma a risultare incontrovertibilmente banale, più dei singoli elementi, che possono comunque essere sempre riutilizzati all'interno di un complesso originale, è la costruzione, la gestione narrativa e lo sviluppo della sceneggiatura. È comprensibile, anzi normale, che nel creare e dirigere si resti fedeli al proprio stile, ma è anche necessario non scopiazzare quanto fatto in precedenza, specie nel caso in cui precedenza non è stato fatto nulla di buono o quasi. Se la gestione di misteri e colpi di scena attuata in “Lost” ha dopo le prime stagioni cominciato giustamente a stancare, non si può riproporre la stessa costruzione. È sufficiente vedere il presunto colpo di scena che chiude la seconda puntata per rendersene conto: il personaggio sarebbe potuto essere benissimo uno dei losties e nessuno avrebbe fiatato. Addirittura, non ci si crede, è identico l'effetto sonoro in crescendo che accompagna la rivelazione. È un giochino, questo, che ha smesso da tempo di essere divertente, che al contrario è ormai irritante ed è il caso che J.J. la pianti perché davvero non se ne può più. Come non se ne può più di quei numeri che prego Dio vengano banditi da ogni elenco numerico conosciuto e non; per un attimo quasi si è sperato che non si autocitasse e invece lo ha fatto. Quando Hauser compone il codice di quattro cifre, infatti, il primo numero è il 63 ma il secondo, inesorabilmente, è il 23 della sestina lostiana. Sembra che le sinapsi di quest'uomo vengano impiegate esclusivamente per 3-4 elementi e che da lì si debba campare. Una pochezza creativa disarmante.
I tratti più palesi della banalità di questo nuovo prodotto però, incredibilmente, non sono quelli della somiglianza con i suoi predecessori, ma quelli più generali. Al netto di quanto scritto fino a questo momento, infatti, la sceneggiatura che emerge da queste prime due puntate non mostra neanche un elemento che possa anche solo lontanamente apparire originale, oltre ovviamente all'idea di fondo (e per certi versi neanche quella). Le task force create per risolvere qualcosa di segretissimo sono ormai infinite, i dialoghi triti e ritriti pompati di frasette preconfezionate che a sentirle si rischia un aneurisma - “Welcome to Alcatraz”, ma vaffanculo tu e Alcatraz – allo stesso modo non si contano e i personaggi, con assoluta coerenza, sono quanto di più insipido ci si possa aspettare: l'agente di cui si scriveva, una ragazzina bionda che ha passato la sua infanzia ad aiutare il padre a risolvere casi, che ha appena perso il partner, che guarda caso è stato ucciso da uno dei cattivi speciali e che quindi è così brava che verrà accettata nella squadra; il capo della stessa, scontroso e taciturno, che è poi anche il cattivo, chiaramente; e il buffone battutista-barra-citazionista che si lamenta ogni tre per due di “non essere tagliato per questa vita. Di non riuscire ad essere all'altezza”, rassicurato sistematicamente dalla partner: “È troppo tardi, lo sei già”. Improponibili, a tratti imbarazzanti, più o meno quanto fotografia e scenografie, posticce e per nulla accattivanti.
Dei primi episodi della nuova creatura della Fox, quindi, non si salva assolutamente nulla. Ha tutte le caratteristiche dei prodotti un tanto al chilo sfornati con la sicurezza che una determinata fascia di pubblico li seguirà. Non è un caso che è già stata fissata e pubblicizzata l'uscita italiana. Al solito, si è sempre pronti a ricredersi, ma perché la serie migliori di qui alla fine della stagione servono e un miracolo e le preghiere di noi tutti perché ad un certo punto non spunti Jacob.