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Alcune poesie di Stefano Della Tommasina

Creato il 06 aprile 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Gropiusstadt, Berlino, Neukölln. - foto di Marco Del Prà

Gropiusstadt, Berlino, Neukölln – fotografia di Marco Del Pra’

Di STEFANO DELLA TOMMASINA

 

I

Anafora

 

Profili di colline in terracotta, l’edera di un campanile,

i portici del borgo per dividere la luce. Il povero

regala un gesto appena uscito dalla pietra. Il pellegrino

(i tatuaggi vividi di un’anfora, una barca tutta da rifare

un mare a fiotti tra i capelli, quasi una fontana umana)

lo raccoglie all’angolo dove trent’anni prima il giovane

fissava la piazzetta e disilluso non capiva. Il luogo era

già fato, enorme giara, anafora.

 

II

 

Her

 

Minimalismi. Piani

che l’OS aspira e ne fa mondi.

Ma non questo diagramma orizzontale, orna

mentale. Paura e forma del respiro.

Certe velocità hanno lasciato l’umido del fiato

ai vetri. Oltre le luci e i grattacieli

le idee combattono la fede. Chi crede libera

il vuoto oppure libra il corpo, la parte che più eccede

l’aria, il fuoco, l’acqua. Quello che non ritorna.

 

III

 

Dettato: her

 

Magico, reale. Dall’acqua fino

ai piedi: i grattacieli hanno radici.

Bastano ai tramonti questi abbracci,

ombre placcate, ottoni di una fede avita.

Resistere sui tetti è scrivere un dettato:

le lettere falsificano l’alba, copie della

disperazione. La solitudine se esiste

illumina le finestre. I pochi solidi

barlumi fingono innocenza

chiedono l’anonimato.

 

IV

 

Eve

 

Luce di una disciplina quotidiana. Il gesto

di una donna. I veli bianchi, nella trasparenza,

dicono che è giorno, che stendersi fa il bene

delle piante. Nell’atrio generato da un’allodola

metà dell’anno implode, dividendosi l’autunno.

Regala porpora alle ombre della luna piena.

Ella tra i fuochi sembra una maga adolescente

uscita dalla gabbia. Ora, soffiando nella polvere,

rigenera la forma del torace, fa di ogni uomo

che la sente dentro il primo uomo.

 

V

 

Statue

 

Per tornare al punto che riunisce le coscienze

dovremmo considerare nel concluso orto il seme

la malferma terra il manto erboso e infine l’ornamento

occasionale di ranuncoli. Capire gli alberi

posare accanto a loro e diventare statue dal respiro

corto, carne differita del passato e del futuro frutto.

 

VI

 

Concime

 

Questa puttana quando è stata buona ha concimato un giovane che odiava il seme

 

era scarlatto il finestrino inutile l’odore e un fianco disossato sulla guancia più

calda

 

il capriolo aveva numerose ustioni al collo e non capiva cosa fare agli altri del dolore

 

gli alberi selvaggi sul torrente giuravano di  non vedere felci e massi enormi al seguito

 

ora camminano il ragazzo e la puttana guardano le cose rovinate in fondo al greto

 

e al capriolo donerebbero l’amore più incapace un figlio e quello che del fiato resta.

 

VII

 

Senza alfabeto

 

Giorni di elenchi. Coppie di anacoreti

fissano la valle, una sottile nebbia

simile a un’aureola. La caverna dietro

ha un fuoco debolmente acceso

e l’ombra oblunga di un giaciglio.

Vivono in piedi, altissimi, senza un alfabeto.

Se capiscono qualcosa è un’espressione

gettata a caldo dentro al pozzo d’occidente,

un po’ di febbre che non basta a fare

di ogni nuova linea una carrucola.

 

VIII

 

Fuoco

 

Scrivo spedito ora che una coronaria

cede  candidamente al plesso salutando

versi e nuvole (così non starai più dietro,

suola tardo novecento). Meglio le belle prose

in lattice, laghi e animali usciti dai vulcani,

giocando, ripetendo acqua, acqua. Il Figlio,

Il cane fulvo (agnello in cartolina) hanno lo sguardo

fisso, pensano di stare vivi a lungo nell’istantanea.

Qualcosa sta bruciando nelle mani ruvide del Padre.

Del Padrone. Fuoco.

 

IX

 

Madonne

 

Spuntano le corna ai rampicanti.

Reclute a branchi allungano nei prati

strisce, disinfestazioni.

Capitali effimere supine ai rami semplici del fico

spargono veleni. Cortei di pietra pomice perdono

il filo, cercano nella materia una ragione,

ridiscutono le direzioni.

Poi la colonna trema e solo il caso

ci indica alla terra. Abbiamo rivissuto in pace

le macerie. Adesso siamo le ebeti madonne

in cornicioni che si reggono da soli.

 

X

 

Neukoln

 

Cubismo popolare in fila al mellotron:

bisbigli, comunismo di bassissima

estrazione. La pausa dal pedale ai tasti

sibila parole d’ordine: GODITI IL SILENZIO –

ROVINA MONUMENTI. Foto di pelle nera e sigarette,

segni di un incombente fato. Adesso mescoli

le carte. Peschi nella memoria. La strategia non troverà

soldati fusi in piombo o fiches che cambino la ruota

alla fortuna. La poesia in miniera è cosa d’altri

tempi: scene selvagge. Umani dei. Eroi nati nell’oro.

Per le nazioni, come per le città, ci sono solo

elenchi, ipocriti musei, litoriproduzioni. Andiamo

Enola, tu ed io sul dorso dei delfini, sulle città

irreali (those that build them again are gay)

Londra Varsavia Arabia, via vai fantasma

nella Berlino vecchia e poi via, via nuovissima Turchia!

 

XI

 

Global

 

Le frontiere si dissolvono nell’afa

sono miracoli del primo pomeriggio

prima del dolore, dopo il parto

semplici regali della terra incolta,

razze incrociate nei sentieri

dove si perdono le bussole

e il seme troppo fondo si dimentica.

 

Non si discostano le labbra dalle gemme scure

di uno scomodo frutto. Sfidano l’aria incerta, il modo

che riporta a terra logore maturità, equilibri di colore

che rasentano il giallo e in un secondo tempo liberano

il viale, gli alberi, la neve artificiale di una realtà circense.

Se cogli al volo un dialogo di nervi l’occhio si riproduce,

i capillari rossi, come minuscole dionee, divorano

ogni fantasia possibile; le nari sembrano infette.

Ora che le edicole si chiudono lungimiranti, i titoli di coda

minimizzano, rendono lo strabismo fatalmente estetico.

Il nero dagli occhi bassi è l’unico a vedere abusi

trasversali, prove di segmenti, relazioni in vetro

e nel disgelo i figli fissano le asiatiche sui marciapiedi

tumulati, chini al davanzale come gambi decimati,

non possono implorare la moria delle uniformi bianche

per restituire un sosia al padre, quasi un capo indiano

che neppure si ricorda dove giace la sua America.

___________________________

Nota

 

Neukoln:

Neukölln è un quartiere (Ortsteil, in tedesco) di Berlino. Amministrativamente, appartiene all’omonimo distretto (Bezirk, in tedesco).

Il quartiere è uno dei più densamente popolati di Berlino, con una popolazione di 154 127 abitanti (2009). È caratterizzato da un’alta percentuale di immigrati, soprattutto di origine turca e russa. Negli ultimi anni, la zona più settentrionale di Neukölln, ossia quella intorno a Hermannplatz e spesso nota come “Kreuzkölln”, ha subìto una trasformazione e gentrificazione e ha visto un enorme afflusso di studenti e artisti, rendendo la zona sempre più popolare.[1] (Wikipedia).

per i versi:

“Andiamo

Enola, tu ed io sul dorso dei delfini, sulle città

irreali (those that build them again are gay)

Londra Varsavia Arabia, via vai fantasma

nella Berlino vecchia e poi via, via nuovissima Turchia”

non sfuggiranno le suggestioni e le citazioni da Eliot e Yeats.

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Stefano Della Tommasina (Massa, MS, 1962), ha pubblicato alcuni testi online sul sito Poeti e Poetastri nella rubrica Per il Verso Giusto e in volume sulle antologie Verba Agrestia, Il Segreto delle Fragole e L’Amore ai Tempi della Collera, tutte edite da Lietocolle. Quest’anno ha vinto il Concorso Opera Prima di Poesia2punto0 con la silloge intitolata Museo Bianco.


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