Alessandro Assiri - In tempi ormai vicini, nota di Narda Fattori

Da Ellisse


Alessandro Assiri, In temp
i ormai vicini, Ed. CFR

Alessandro Assiri, poeta noto e “scafato” nel senso di “avvertito, che ben conosce la poesia contemporanea oltre a quella letteraria, critico ed edotto di come funzioni la macchina del successo letterario”, si presenta con un libro dal titolo ambiguo: i tempi possono essere vicini perché prossimi a venire e perché appena scorsi, tanto che ancora ne recuperiamo oggetti, memorie, scaglie usurate d’eventi, frammenti d’identità, pulsioni , evocazioni, consapevolezze dure come piccole pietre.

Le liriche del libro, suddivise in quattro sezioni dai titoli suggestivi, danno ragione dello sguardo strabico del poeta che coglie frammenti di un passato prossimo per rivisitare il presente e compiere anche l’azione contraria, dal presente al passato. In questa continua operazione transitoria l’io lirico è pressoché assente: spia dietro le scelte dello sguardo e si ritaglia il compito del lessico e del metro.

C’è un’ironia amara che pervade l’intero libro, anche le frasi fatte, il raccogliticcio verbale, sono uno strumento affilato di penetrazione dentro una realtà attuale che non si ama, così come non si è saputa amare con dura consistenza quella della gioventù che travestiva i giorni con un eskimo di sogni.

Nessun rimpianto, però, macchia questi rimasugli, né essi sono utilizzati a pretesto per rimpianti o per acrimonie; anche se non è ben chiaro perché il tempo abbia spinto in una direzione variata e contraria, la nuova realtà ci colpisce su cicatrici ormai chiuse e il dolore è ottuso dagli antidolorifici.

Ciò che si è perduto non può tornare, può essere rimpiazzato ma l’intervento mostra ancora più chiaramente la il logos e il topos del dolore: “ (…..) Rifatto fino al nome assolvi la vita che hai perduto/ un po’ da militante e un po’ da dissociato/ prima sedicente poi compagno che ha sbagliato.”.

Questa ironia, riscontrabile un po’ in tutte le poesie, ora leggera ora pungente, riverbera sull’autore stesso al quale resta come un’arma un po’ spuntata per dire di sé nei tempi , e il suo sé corrisponde a quello di tanti suoi coetanei.

Assiri poeta non ama stupire né recriminare: appartiene alla quota scarsa delle persone che non si chiamano fuori dal gioco o che colpevolizzano sempre gli altri, il caso,ecc.., per i fallimenti personali e collettivi; la sua denuncia è una autodenuncia e, soprattutto, non ha carte a discolpa né le chiede.

La sua poesia è dimessa. colloquiale, a volte brevissima riuscendo però a sfuggire all’aforisma e alla sapienzialità: “ Sul muretto coi brufoli a parlare fino a tardi/ dell’omino coi baffi con sto nome da birra e sta faccia da schiaffi.”

Chi ha gli anta alle spalle ha vissuto una scena come questa e non saprebbe descriverla meglio: poche parole essenziali, precise, scavate nei meandri della memoria.

Qualcuno potrebbe obiettare che così operando la poesia non ci porta a nessun passo in avanti. Ma quando mai è successo?

La poesia- azione appartiene alle sue origini, alla sua pratica impellente, da gulag o da frontiera; ci resta una poesia che contiene, quando ci riesce, l’esubero del sentimentalismo , e i materiali di costruzione dell’identità.

Può dirci dei mali e dei tempi a suo rischio e pericolo: a rischio dell’invettiva o di procreare un ibrido fra un io travolto dal presente e smarrito fra sirene e miraggi contemporanei.

La lucidità di Assiri è preziosa perché non ambisce stupire, né commuovere, neppure farci troppo riflettere: i suoi versi ci fanno ritrovare un amico con il quale conversare sorridendo con un po’ di amarezza per i nostri fallimenti. E questi anni duemila ci  hanno spogliato di ogni ideale e , se la colla è rimasta, come afferma Alessandro, non c’è più nulla da appendere. (Narda Fattori)

In tempi ormai vicini

Questa storia di banca di Milano che imbianca
pagherete caro pagherete tutto pagherete un cazzo
troppe valigie per uno scoppio solo
miccia corta giù la testa coglione
se nessuno voleva i morti erano 1oro a volere noi
tutti privi di argomenti sessanta volte assolti
Restare il tempo breve di una bocca dopo l'altra
stare al riparo delle parole che ci fanno vivi
e quale parte del cuore ribatteva
quando la mano e solo vita che cala
quanti anni dei nostri temporali
particelle di pronome a sporcare la casa
e Adriano che continua la difesa
donatori di sangue quello alto due metri
il tempo del padrone e quello dei servi
come figli maggiori a un amore guardarvi
col sudore seccato e con gli altri poeti.
Hai le gambe di qualcuno che piscia
di quest'ora decisiva persino per Brescia
ogni piazza solo un metro di pantaloni tutti i giorni
di nomi spazzati da poco da cucine in 1ontananza
e cosi che siamo pieni fino all'orlo di nonni dilettanti
e partigiani a scaglie invecchiati da spavento .
Sotto le unghie dove tenevi il mondo
consumavi maggio di lenzuoli tutti in fila
senti come tace il tuo pugno alzato
adesso che indietreggi perche sei rimasto vivo
tra una scarpa calzata e un'altra perduta
Poi la fabbrica che dall'alto sembra vera
anche adesso con lo sceriffo digitale
il nemico alle porte e quello già dentro
"In ogni nicchia una macchina da guerra"
Ancora dorotei sopra una sedia di larve
i posti in piedi dove le cicatrici diventano vive
il debito e carne da consacrare al nemico
una nota spese di una coscienza infelice
Di questa violenza a lato che riparte in storie fisse
contro la noia delle luci spente, degli anni che ci sembrano
risplendere soltanto quando escono di scena
Ognuno si sente i libri addosso
come evoluzione di una lettura nervosa
che da carne diventa superficie
delle periferie dove ci hanno infilato


(altri testi di Alessandro Assiri su IE  QUI)


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