Magazine Cultura

Alessandro raveggi, “nella vasca dei terribili piranha”

Creato il 03 maggio 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Giovanni Agnoloni

Alessandro Raveggi 104x170 ALESSANDRO RAVEGGI, NELLA VASCA DEI TERRIBILI PIRANHA

Alessandro Raveggi, tra gli scrittori fiorentini della cosiddetta generazione TQ (trenta-quaranta) è tra i più attivi e poliedrici. Studioso di Italo Calvino e di David Foster Wallace, autore di racconti – tra i quali uno nella qui recensita raccolta (a cura di Raoul Bruni) Toscani maledetti – e docente presso il campus di Firenze della New York Univesity, con Nella vasca dei terribili piranha (ed. Effigie) ha realizzato un romanzo fuori da qualunque rigido schema di riferimento, dove le vicende del protagonista sembrano frammentarsi, scheggiando in molteplici direzioni e riversandosi su un oceano viaggiante che è il mondo. E dico “oceano” non a caso, trattandosi di un personaggio dalla natura “anfibia” – nel senso particolare che Raveggi stesso chiarisce nell’intervista che segue. Opera complessa e frutto di un’attenta ricerca stilistica, questo libro, come vedremo, si inserisce a pieno titolo nel quadro di un percorso letterario che fa tutt’uno con l’attività di studioso del suo autore.

1. Una storia “ubiqua”, che rimbalza da un punto all’altro del mondo, schizzando tra Messico Firenze, Scandinavia, Germania. È il frutto di una vocazione di viaggiatore, che ti ha in qualche modo “dettato” gli scenari?

- Sicuramente, sebbene mi consideri un viaggiatore “pensoso”, non uno di quelli temerari, da taccuino sottobraccio al bordo del precipizio. È questo si può vedere anche considerando i miei anni di residenza in Messico, dove tutto sommato ho preferito esplorare le culture urbane di Città del Messico o della frontiera letteraria – non per questo meno “pericolose” – piuttosto che avventurarmi tra le selve del Chiapas. Quello di cui parlo nel libro è sì un viaggio estremo, ma compiuto principalmente tra alcuni metropoli del mondo e fondato molto sul non-detto (il non-detto che aleggia sull’anti-eroe del romanzo) più che sull’inesplorato. Credo che ci siano molti modi oggi per viaggiare e per viaggiare all’estremo, nell’imprevisto continuo di un’avventura – visto che oggi i limiti tra zone sicure e zone inesplorate sono saltati (anche secondo le recenti teorie antropologiche, penso al per me importante James Clifford). Si viaggia in un museo, in un codice pre-ispanico, stando a casa e sentendosi stranieri, o anche accogliendo altre culture nella nostra identità. Così come oggi si viaggia stando a casa, così si può fare un romanzo fantastico essendo prospetticamente molto realistici: è quello che ho voluto proporre.

2. Il tema della natura anfibia del protagonista, dunque di una forma particolare di ibridismo metamorfico, è figlio di un’antica tradizione. Inserendolo in una cornice postmoderna, che significato hai inteso dargli?

- Il metamorfismo di Juan / Jean / Jon, il protagonista multiforme e mezzo-uomo mezzo- pesce anfibio (sebbene non si abbia mai prova concreta del suo reale anfibismo) che appare prepotentemente nel romanzo, ha un valore di rappresentanza per me molto forte: è come una stella che indica il cammino ansioso e affamato di un’intera generazione di migranti africani che sono arrivati nelle coste dell’Europa proprio nel momento in cui l’Europa stava fallendo con la sua disastrosa crisi economica, occupazionale e generazionale – o anche con le sue restrittive politiche d’integrazione. E per questo la sua stella – quella che ho chiamato la sua Controrivoluzione anfibia – prende valore nel romanzo anche per una generazione sottomessa di mezzi-giovani mezzi-vecchi europei ed italiani come la mia, di metamorfici precari lavorativi e esistenziali che si barcamenano tra miriadi di lavori e occupazioni. Quindi potrei dire che ho usato l’anfibismo, il metamorfismo, come una potenza politica, ma anche come una condanna dei nostri tempi che devono necessariamente cambiare – “In modo feroce?”, mi chiedo nel romanzo, e lascio sospesa la domanda sul finale del romanzo stesso.

 

Alessandro Raveggi 2 193x170 ALESSANDRO RAVEGGI, NELLA VASCA DEI TERRIBILI PIRANHA

Alessandro Raveggi (da facebook)

3. La prosa sembra riflettere i rinterzi di immagini e situazioni che popolano la trama. C’è una matrice realistica di fondo – o almeno io così la percepisco – ma avvolta in una spirale iperbolica, che evoca paradossi e accostamenti cromatici e sensoriali sgargianti. Penso alle righe di pag. 37: “La frana è già compiuta. Si tratta di scuotersi la terra di dosso, drizzarsi facendo leva sulle ginocchia, e attaccare a deambulare. Nella notte, ancora qualche frammento colpisce il viso, venendo giù nella sua isterica discesa. Nel velodromo della testa, annebbiata dal poco sonno, è come se un potente bolide sull’Autostrada del Sole avesse perso un bullone della sua struttura, e questo fosse andato a picchiettare, bucando il silenzio, sul pannello di insonorizzazione, che separa il frusciare delle auto dal condominio dove si riposa.” Quanto la tua esperienza di docente di Letteratura italiana e Scrittura creativa ha influito sull’elaborazione di questo stile?

- Lo stile di Nella vasca dei terribili piranha nasce da varie letture incrociate: la poesia italiana della Neoavanguardia, il Volponi più estremo e leopardiano, D’Arrigo (Cima delle Nobildonne), il romanzo postmoderno (Pynchon, De Lillo, Barth), per alcune parti anche David Foster Wallace e lo steampunk. Come dici, si potrebbe parlare di un realismo divergente, io direi anche di un iperrealismo – che diventa sempre surrealismo, alla fine – in cui i sensi, tinte e le metafore lineari esplodono perché ad esplodere è il mondo che ad esse soggiace. Realista rispetto al mondo che rappresenta – e sicuramente viaggiare e far viaggiare nel romanzo aiuta ad allargare i limiti del rappresentabile (quello che può essere normale qui è fuori dall’ordinario nelle Americhe, e viceversa, e questo non vale solo per il surreale Messico).

4. La tua lunga permanenza in Messico ti ha in qualche modo avvicinato a un sentire letterario latinoamericano, e quanto di questo è presente nel tuo romanzo e nella tua scrittura in genere?

- La mia vita e le mie letture sono totalmente cambiate da quando ho incontrato il continente latinoamericano – un prisma-laboratorio di culture in cui le contraddizioni non sono mai sottaciute come negli Stati Uniti, ma sempre ritradotte in festa, in allegria, in barlumi nella notte. Tutt’ora, ritornato in Italia, è un punto di riferimento culturale importante, che mi ha permesso di ritornare con la voglia di ricostruire una mappa differente di riferimenti culturali che vanno dal Chianti più profondo alle cime del Popocatepetl, il maestoso vulcano ancora attivo che incombe sopra Città del Messico. Per parlare di influssi letterari, sicuramente le letture di libri come Pedro Paramo o dei romanzi di Carlos Fuentes e Roberto Bolaño, hanno inciso sulla mia rotta. Oggi credo però di sentirmi sempre più legato alla personale revisione di una tradizione italiana: Pavese, Volponi, Malaparte. Sempre però con un occhio di riguardo a chi riesce faticosamente a fare del romanzo “europeo” fuori dai limiti dell’italianità, a fare romanzi in cui si respirano tanti influssi esteri e poco le consorterie locali spesso tradotte in mode e editing inconsci.

5. In che direzione si sta orientando adesso la tua ricerca narrativa?

- Dopo aver licenziato da poco il mio secondo romanzo Uno di noi, una vera e propria “tragedia all’italiana” con protagonisti tre figli degli anni ‘90 italiani e le loro faide familiari – ancora inedito – sto lavorando sulla scrittura in prima persona di un particolare romanzo-guida sul Chianti, fatto di incontri con i personaggi più caratteristici di questa zona tutt’altro che da cartolina – un romanzo un po’ sebaldiano prima di aver letto Sebald, lo devo ammettere, perché partito dalla visione di alcuni scatti fotografici dell’amico fotografo Francesco Natali e venuto ben prima della lettura di Austerlitz. Nel frattempo, dopo più di un anno di pausa, ho ripreso a riscrivere poesia, laboratorio per me fondamentale per ri-orientare le bussole stilistiche, banco per provare tonalità e dare forma più libera a idee. La mia scrittura, pur non mancando l’interesse per l’iperbolicità e il ritmo serrato del massimalismo, si è asciugata molto dopo alcune letture per me fondamentali, come il secondo Celati o anche il Calvino minore (La giornata di uno scrutatore, ad esempio). Direi che si è concentrata più sul dettaglio della mappa che ogni volta vuole dipingere, piuttosto che stenderne i limiti.

 

Per saperne di più consulta l'articolo originale su:

http://www.postpopuli.it/37054-alessandro-raveggi-nella-vasca-dei-terribili-piranha/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=alessandro-raveggi-nella-vasca-dei-terribili-piranha


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :