Siam liberi in fine, ed è giunto anche per noi il giorno, in cui possiam pronunciare i sacri nomi di libertà, e di uguaglianza, ed annunciare alla Repubblica Madre, come suoi degni figliuoli; a' popoli liberi d'Italia, e d'Europa, come loro degni confratelli.
(Monitore Napoletano, I, 2 febbraio 1799)
TRA UNA CARESTIA E L'ALTRA: RACCONTI UFFICIALI
E MEMORIE
Nel 1743 i raccolti si dimezzarono. È, questo, un tema non nuovo, va da se, eppure suscita ancora divisioni, giustifica dibattiti. Come mai accadde? Si poteva prevedere? Quali le soluzioni possibili? Appare anche ovvio come nulla vi sia di nuovo sotto il sole, se è vero che qui e lì ogni tanto ci aggrediscono calamità naturali che influenzano il sistema delle importazioni-esportazioni. È ancora tutto legato alle calamità naturali, agli squilibri climatici? E se si, giacché il clima dal 1743 a oggi non si è certo stabilizzato, dobbiamo aver paura?
Procediamo per ordine. Le informazioni circolavano anche al tempo del Regno. Le condizioni peggiori erano quelle delle province periferiche. Si è visto in altri articoli come anche Luigi Vanvitelli se ne preoccupasse e scrivesse al fratello di calamità naturali nel Cilento (in lettere successive precisa che si trattava di altre località). Le cose andavano un po' meglio nella zona detta Terra di Lavoro, che alienava molto spesso i prodotti al territorio pontificio del beneventano e in Capitanata, dove usava fare incetta di grano. Non era una crisi agricola limitata al Regno: dilagava in tutta la Penisola e nel resto dell'Europa. Era già globalizzazione. Napoli, per quanto attraesse pressocché tutto ciò che veniva prodotto, aveva fame insaziabile, era un buco nero che non poteva fare altro se non assorbire in un attimo ciò che veniva prodotto da un sistema agricolo sottosviluppato; il mondo contadino non poteva sopperire a quei bisogni; le strutture economiche non potevano dare sostegno. Ciò non significa che si vivesse una situazione meno florida di altre. Non mancavano le eccellenze e al sud si produceva l'energia dell'epoca: lo zolfo. Il popolo avvertiva l'angoscia della situazione. I prezzi aumentavano. Grandi difficoltà avevano i maccaronari e i ciambellari. Si può quantificare il bisogno quotidiano del mercato cittadino in oltre mille tomoli di grano al giorno e in cinquecento tomoli di farina, come evidenziò il Salvatore De Renzi studiando il carteggio tra i responsabili della municipalità e il governo borbonico. Carteggio parzialmente dallo stesso pubblicato in NAPOLI DELL'ANNO 1764.
Risulta evidente come in questa situazione gli speculatori potessero fare grandi affari e danneggiare il sistema. Ovviamente non mancarono i Masaniello e si profilava la situazione adatta per gli studi di Giambattista Vico, nonché lo spazio operativo per la patriota Eleonora Anna Maria Felice de Fonseca Pimentel . Tra le fonti dalle quali si può attingere notizie articolate e relative a ogni zona delRegno, spiccano i libri di Memorie. Venivano scritti soprattutto da notabili, avvocati.: ovvero da chi aveva dimistichezza con la penna, ma ci provavano anche altri. Negli Archivi di Stato se ne rinvengono molti. Uno: Le MEMORIE di Pietro del Giudice. Sono custodite nell'Archivio di Stato di Salerno, fondo Arechi Privato, b. 31. una descrizione della carestia è fatta anche dal notaio Domenico Lordis di S.Gregorio Magno (SA). Anche questa è all'Archivio Storico di Salerno, a.III (1935), fasc. I° (gennaio-marzo). Altre MEMORIE sono conservate da numerose famiglie. Da una situazione del genere non potevano che derivare gravi conseguenze per la salute. Soprattutto per la povera gente, costretta ad andare a procacciarsi ilcibo nei campi. Anche le siepi vennero assalite per recuperare foglie per le minestre. Non è difficile immaginare i volti emaciati della gente, di cui si trovano infinite descrizioni. E il problema più grande divenne: dove seppellire i morti?