1585: L'ASSASSINIO DI GIOVAN VINCENZO STARACE
Alla sellaria li fo dato un mautone intesta, et poi lo portorno dentro la cappella de s. Augustino et lo buctorno vivo dentro una sepoltura…poi cavorno lo decto electo e lo spogliorno: battendolo con cortelli e spata crivelandolo; et ignude lo buttorno dalla mura delle grade de s .Augustino alla strada publica: et lo popolo lo pigliò et lo legò trascinandolo con la faccia alla terra, dicendo: haie decto che ge volive fare magnare terra et non pane, portando lo corpo semivivo per la cictà et in ogni strade tagliando un peczo…Chi si pigliò cicza [mammella] in mano, chi lo core: et chi le cellevrelle in in mnao, et uno del popolo: diceva che se voleva cocere le cellevrelle et magnarsele et chi se magnò lo core, et uno se pigliò un peczo della cammisa insanguilentata et se la magnò in la strata della Nunctiata et un altro se zucò lo sangue ec
Così, con fatti di cannibalismo e vampirismo, si potrebbe dire con qualche concessione alla inesattezza, finì la parte più cruenta di una atroce giornata del 1585. non finirono, però gli atti di violenza tumultuosa: la casa di Giovan Vincenzo Starace fu assaltata, messa al sacco, bruciata. Intanto la banda di scalmanati aveva già asportato le botti piene di Lacrima Christi, Moscatello e Greco di Tufo. Il cadavere orrendamente mutilato fu portato davanti al palazzo del Vicerè don Pedro Giròn duca d'Ossuna, che dovette assistere al macabro spettacolo.
La vicenda fu il primo di due atti tragici. Tutto era iniziato per via della gravissima carestia; soprintendente della Grascia (in epoca medioevale così veniva detto il vettovagliamento e tutto ciò che la regolava e garantiva sul piano annonario e fiscale) era Francesco Loffredo, marchese di Tricarico. La carestia era resa ancora più gravosa, giacché il vicereame spediva in Spagna una ampia fetta del grano che giungeva. Il popolo aveva già subito la drastica riduzione del peso delle pagnotte di pane al medesimo prezzo e aveva manifestato con gli eletti del popolo nei vari seggi e in particolar modo al Sedile del Popolo, retto da Giovan Vincenzo Starace, sorrentino di origini. Giunto a Napoli, si era arricchito con il commercio di sete e drappi. Venne eletto nel 1565 per il Seggio del Popolo con sede in Sant'Agostino alla Zecca. Gravemente ammalato, si era assentato alle riunioni del Parlamento di San Lorenzo. I componenti dell'organismo politico adottarono le proposte del soprintendente Loffredo: prelevare quarantamila tomoli di grano dalle provviste ordinarie. Ciò fece diminuire il valore di acquisto delle 4 grana. Se prima si potevano acquistare 48 once di pane, adesso bastavano solo per averne 24, ovvero 624 grammi. L'ira del popolo cadde su Starace giacché assente: si sospettò fosse connivente con la nobiltà. A nulla servì la riunione di una commissione presieduta da Francesco Loffredo, costituita da Antonio Catalano e Camillo Pino, medici di Starace. Il sopraggiungere di questi su una sedia non bastò a sedare gli animi. L'epilogo lo abbiamo anticipato.
Il secondo atto fu tragico per i responsabili dell'uccisione di Starace. Tra questi: Giovan Leonardo Pisano, capitano della piazza Sellaria. La sua casa fu demolita e cosparsa di sale. Su quella porzione di suolo fu eretto un monumento: in alcune nicchie erano in bella vista le teste e le mani dei giustiziati. Furono arrestate 480 persone: la maggior parte giustiziate. Le teste furono collocate in tribunale, a Castel Capuano, dentro gabbie che furono a lungo esposte. Ai diretti responsabili dell'omicidio di Starace fu amputata la mano sinistra. Vennero anche "attenagliati" e spinti verso piazza del Mercato. Alla fine dell'orrido viaggio vennero trafitti da lame e bruciati. La inquietante esposizione di teste e mani tagliate fu rimossa solo grazie all'intervento dell'arcivescovo Annibale di Capua il 20 giugno 1586.
Questa è una delle vicende che ci narra Nicola della Monica in LE GRANDI FAMIGLIE DI NAPOLI, Le vicende, gli aneddoti, le curiosità mondane dei tanti illustri casati protagonisti della storia partenopea.
Ricostruisce la storia dei casati nobiliari; ne segue le sorti, dove possibile, fino ai nostri giorni, dando visibilità alle insegne araldiche, disegni, foto di palazzi, alberi genealogici, cartine geografiche. Nella particolareggiata narrazione affronta le origini della famiglie svelando, talvolta, gustose vicende, come accade nel caso dei Brancaccio degli Imbriachi: una volta il nonno di Attilio, che ascoltava i suoi racconti fantastici in religioso silenzio. Così seppe che un condottiero della casa Brancaccio, accampatosi con le truppe in attesa della battaglia, finalmente giunto il momento, si accorse che i soldati erano ubriachi: avevano svuotato le botti di una masseria.