Alfio e Fanny per una finger-piadina con farina di riso venere, aspic di orecchie di maiale e pistacchi, gelatina di mandarino senapata. per l'Mtchallenge di Giugno

Da Lacucinadiqb

“I ga’ cava’ anca la Fanny…..” Nonno Alfio scosse la testa, come a voler allontanare brutti pensieri, mentre raccoglieva da terra la prima pagina de La Tribuna di Treviso, che raccontava come i tecnici del comune, il giorno prima, avevano tolto dalla città l’ultima panchina rimasta.
“Nessun extracomunitario bighellonerà sulle panchine finchè sarò sindaco io!” aveva tuonato il bravo Maleduchini, mentre correggeva il primo caffè della giornata. Era il 1997 e Nonno Alfio se lo ricordava ancora. “Sono un ritrovo di gente equivoca, piene di negri e di sacchetti dei negri e non tollero che Treviso diventi una terra di occupazione!” Nonno Alfio guardò prima la sua immagine riflessa sulla vetrina della pasticceria “Languidi Macarons e Morbide Mousse” e poi il terreno sdrucito dove una volta faceva mostra di sé una gran bella panchina. Era verde, un verde smeraldo scuro, severo, che faceva a pugni con i ghirigori vezzosi con cui terminavano i ferri che univano le assi della seduta. Era entrato subito in sintonia con tutta lei e l’aveva battezzata con il nome di Fanny. Alfio e Fanny. O Fanny e Alfio. Proprio una bella coppia di svitati: lui per la sua scelta di vita così estrema e lei per quei bulloni che aveva smarrito fin dall’inizio, pochi giorni dopo il suo collocamento nel giardino delle nuove case di ringhiera. Fanny e le altre, ovviamente, ma solo Fanny resisteva agli assalti del tempo, mantenendo una sua altera eleganza, come le nonne che fanno fare alle collane di perle tanti giri attorno al collo, nella malcelata speranza che le rughe così invadenti sulla pelle sottile non raccontino più di tanto. E Alfio aveva capito che Fanny era una panchina tutta speciale: non solo legno, vernice e ferro ma molto di più. Il legno gli ricordava il pavimento della grande cucina dove la cuoca Magda, dal grembiule sempre inspiegabilmente candido, gli pelava le mele e le pere sperando che potessero essere gradite per merenda, cantando nenie in dialetto. Il ferro poi, ferro battuto forte e gentile, gli ricordava la catena che sorreggeva l’enorme paiolo in rame dove l’anziana Rebecca mescolava, con lo sguardo liquido perso nel vuoto, le fumanti polente che troneggiavano sul camino di marmo bianco. E il verde era il colore della speranza che mai, mai, lo aveva abbandonato, anche quando la vita gli aveva mostrato tutta la sua ferocia.

Ma ora, guardando il terreno sdrucito e reso di pietra dal freddo intenso dell’inverno che stava avanzando, si sentì perla prima volta veramente solo. Terribilmente solo e tanto, tanto stanco.
Nonno Alfio si distese per terra, sullo spazio una volta occupato dalla Fanny, sperando che i ricordi, assieme alla carta del quotidiano indossata a strati sotto il paltò, gli scaldassero un po’ le ossa. Ma quella sera, dopo tanti anni, il freddo si fece prepotente e spense anche l’ultima bronsa dell’enorme camino bianco.
Il mattino dopo, improvvisamente, il sorriso del pasticcere, che ogni mattina lo svegliava con una fetta di torta appena sfornata, si spense. Fanny non c’era più e non c’era più neppure Nonno Alfio. Il cuore gli batteva forte mentre con le dita tremanti componeva il numero della Questura e si rese conto che in un colpo solo aveva perso due amici. Dalla vetrina vestita a festa uscì silenziosa la giovane commessa, troppo magra per essere golosa. Lo guardò e attese. “Sono andati via” disse il pasticcere con la voce rotta che gli spense in gola ogni altra parola. “Non credo.” gli rispose la giovane commessa “Per me si sono semplicemente trasferiti in un paese dove i negri ed i loro sacchetti si scambiano speranze sopra panchine di legno scolorito.”
Questa racconto è una libera interpretazione della vita di Nonno Astorre, un clochard trevigiano morto a 98 anni la notte del 12 dicembre del 2011. La sua salma è stata dimenticata, letteralmente, e non richiesta neppure da quel figlio 60enne per il quale nonno Astorre raccontava di aver venduto tutte le proprietà per salvarlo da un dissesto economico nel quale era scivolato dopo investimenti sbagliati. Dopo alcuni mesi, qualcuno si accorse che Nonno Astorre, e la sua barba bianca, giacevano in una gelida cella mortuaria dell’obitorio cittadino. E il Comune si prese carico del funerale e della sepoltura.
Per l'Mtchallenge del mese di giugno, proposto da Tiziana, ho pensato al cibo di strada, l’infinita tavola alla quale si siedono ignari compagni di viaggio. Ho pensato a quanto del cibo si butta via, perché di lui non si ascoltano le storie che vorrebbe raccontare ed ho pensato a quanto delle persone rifiutiamo, perché ci ricordano senza filtri la caducità della condizione umana. Finger-piadina con farina di riso venere, aspic di orecchie di maiale e pistacchi, gelatina di mandarino senapata Ingredienti e procedimento per la piadina 300 g farina w170, 200 g di farina di riso venere Az. Agricola Salera, 100 g di strutto, 125 g di kefir, 125 g di acqua, 15 g di lievito chimico, un pizzico di sale, un pizzico di bicarbonato di sodio. Impastare tutti gli ingredienti in planetaria con la frusta a gancio, ottenere una palla morbida, metterla in una ciotola, coprirla con una pellicola e farla riposare a temperatura ambiente per circa 48 ore.  Riprendere l'impasto, dividerlo in 8 piadine, cuocerle in una pentola di ferro e metterle da parte coperte da un panno. Ingredienti e procedimento per l'aspic 2 orecchie di maiale, 1 foglia di alloro, 3 bacche di ginepro, 3 grani di pepe nero, una presa di sale di maldon, una presa di zucchero di canna. Mettere tutti gli ingredienti in un sacchetto da sottovuoto, sigillare e cucinare a 65° per 12 ore. Togliere dal sacchetto, eliminare le spezie e ricavare la carne eliminando i tessutti connettivi e cartilaginei. 2 piedini di maiale, una cipolla steccata con 3 chiodi di garofano, 1 carota, 1 gamba di sedano e un po' di foglie. Mettere tutti gli ingredienti in una pentola capace, coprire di acqua fredda e al bollore abbassare il fuoco, facendo continuare la cottura per circa 2 ore. Togliere tutti gli ingredienti e far ridurre fino ad ottenere una gelatina trasparente. 3 cucchiai di pistacchi interi non salati, 1 cucchiaio di semi di coriandolo pestati con il mortaio. In una ciotola unire la carne di maiale, i pistacchi interi e la polvere di coriandolo, regolare di sale e dividere l'impasto in due parti: 2/3 e 1/3. Foderare uno stampo da terrina triangolare con pellicola e carta fata, versare i 2/3 del composto, unire la gelatina, coprire con dell'altra pellicola ed abbattere o trasferire in frigo. La parte restante del composto, mescolata con la gelatina rimasta, distribuirla sopra un foglio di carta fata formando un salsicciotto del diametro di 2,5, 3 cm e lungo 20 cm, sigillare a caramella, abbattere o trasferire in frigo. Ingredienti e procedimento per la gelatina di mandarino 1 litro di succo di mandarino, 200 g di zucchero, 4 fogli di colla di pesce. Ammollare la colla di pesce in acqua fredda e trasferire il succo di mandarino e lo zucchero in una pentola in ghisa, portare a bollore, unire la colla di pesce ammollata, passare al colino, rimettere sul fuoco dolcissimo e continuare la cottura per circa 20' schiumando spesso. Trasferire in vasetti sterilizzati, capovolgere, far raffreddare e conservare al buio per circa 1 mese prima di utilizzare la gelatina. Per il piatto Con un coppapasta ottenere dalle piadine tanti cerchi del diametro di circa 3 cm, in una ciotola unire 2 cucchiai di gelatina di mandarini ed uno di senape con i semi e mescolare bene, tagliare l'aspic tondo in fettine di circa 2 cm. Spalmare un po' di salsa sulla base della piadina, adagiare la fetta di aspic, spalmare un'altra po' di crema, coprire con una seconda piadina e servire con una goccia di salsa. Se invece desiderate utilizzare la terrina triangolare procedente allo stesso modo ma aumentando il diametro della piadina, per ottenere un effetto più geometrico.