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Alfonso Guida: catalogo di sopravvivenza

Da Narcyso
24 novembre 2013

Alfonso Guida, IRPINIA, poiesis editrice 2012

AlfonsoGuida
Sono grato al mio amico poeta Vincenzo Di Maro per avermi fatto conoscere questo libro, che Aldo Nove introduce con parole altrettanto grate e sdegnate: “Nella desolazione attuale di una poesia esiliata da se stessa perché (non) promossa da irresponsabili responsabili di settore all’interno di un’editoria che nulla ha di poetico (di certo non i cataloghi), la poesia erompe talvolta da eroiche marginalità, carsiche escursioni nel vero. [...] Una visione che nell’accadere del terremoto tocca le cose e ne è toccata diventando il luogo che è incontro tra noi e quanto succede (è successo), mediante il linguaggio e le sue leggi e attraverso un’alchimia che solo i (rarissimi) poeti veri conoscono e mettono in pratica: trasformare il linguaggio e le sue leggi (che Guida conosce incredibilmente bene) in cose, e le cose in poesia.”
Terremoto, allora, nel seno della stessa lingua, se lingua è terra e se, dopo l’apocalisse e lo spavento, essa deve trovare parole nuove per ridare vita agli oggetti – i sentimenti stessi – ridotti ad accumulo, immenso bazar dove ogni cosa è accatastata, senza catalogo, se non quello del ricordo.
La poesia, in maniera misteriosa, non risponde con le armi del silenzio ma con quelle di un fiume in piena che ricava senso e nuove terre dal non senso, perchè, certo, qui non ci troviamo di fronte a una cronaca; incomincia così il libro, come un boato dal buio: “Gente accorre per strade, strettoie, sui / marciapiedi sbrecciati”; e si tratta della descrizione di una festa, al cui frastuono succede subito un altro frastuono; cronaca congelata, perché poi Alfonso Guida si mette a parlare dei risvolti, della vita che pur si deve srotolare dove spazio non c’è: le strade, i capannoni, gli angoli delle case distrutte, l’enorme occhio che ti guarda dalla branda vicina.
Dunque è questa la novità. Come nell’opera di Gadda, di Testori, i rovelli linguistici, i masticamenti, non sono interessati a far accadere ma ad aggirarsi, regali e potenti, intorno alle macerie o ai corpi in disfacimento, utilizzare la spazzatura, la storpiatura della lingua, è operazione praticata per crearsi un abito regale di umanità, di sopravvivenza.
Meccanismi che sembrano avvenire anche in questo libro, dove lunga è la lista delle parole sontuose, delle aggettivazioni arroccate a un dirupo, insieme all’elenco delle parole sopravvissute, arcaici altarini di cultura contadina, di enumerazioni, di materie prime, di lasciti di memoria improvvisamente consegnata al vuoto, e da lì a poco, agli ammorbamenti della modernità e del consumismo.
La musa fluviale di questo libro ci parla in un solo procedere, senza respiro, non verso un punto, un momento del tempo, ma verso uno stallo inesplorabile, l’unica musa in grado di spiegare come si possa, dopo anni, tornare alle ferite di una terra e dirci che queste ferite sono come le cicatrici insepolte delle grandi esplosioni della Storia, storia rimossa ma ancora agente, non pacificata, altrimenti le muse non si svegliano, si sotterrano nel tempo della non poesia.
É paragonabile, questo terremoto dell’anima e delle cose, alla descrizione della peste nel romanzo di Camus? Ci sto pensando. I segni, i riti del sommovimento ci sono tutti. Tranne il simbolo, la realtà simbolica strisciante che, pur non dichiarata, vuole parlare una lingua più distanziata, forse per mettere la sordina al dolore e renderlo più sopportabile. La rappresentazione di questo non simbolo – la parola è zeppa di oggetti, messi in fila senza più dimora, senza più potere, in quanto non ha più il potere di rappresentare – mi sembra la novità di questo libro/poema bellissimo, da aggiungere all’elenco, stringatissimo dei libri poema di questi nostri anni frammentati, restii al racconto, sensibili, piuttosto ai titillamenti delle grandi feste sensoriali: “Per me il vigore alleato dei fiammiferi. / Per questa disperazione. Ombra e sfere / di cardellini sognati attraverso / le gabbie infelici dei morti”.

Sebastiano Aglieco
Diez, Germania, luglio 2013

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