Pubblicato da lapoesiaelospirito su gennaio 3, 2012
Materie spirituali
Dal 1952 la cacciata dal paradiso è raffigurata alla
Madonna, con l’angelo impietoso, e Adamo ed Eva afflitti.
Alla Madonna la navata centrale aveva motivi laminati
in oro dai quali scendeva nel sensibile di qua l’Irrappresentabile.
Sulla stessa navata erano raffigurate alcune scene
della passione insistentemente sottolineata dalle stazioni della via crucis.
Si passava, senza vie di mezzo, dal trascendente a quella feroce incarnazione.
Al mistero della colpa si arrivava altrettanto bruscamente.
Per quegli uomini, sui fondi intonacati delle case,
il colore, macchia dell’emozione, quasi difetto dell’imperfezione,
non doveva essere scomposto, doveva
invece essere corretto, e avere con il resto un rapporto
esatto. Lì, alla Madonna, il colore era invece liberato.
Forse era già prosciolto dall’accusa di peccato.
Sulle lesene e la zoccolatura era finto il marmo.
Le lesene, piene di variazioni autunnali, specie nelle
venature, incontravano il temporale degli smalti che
infuriava sul corpo della navata, in orizzontale.
Credo che la zoccolatura fosse alta una settantina
di centimetri. Il riquadro principale era un’inondazione
verde bottiglia solcata dai lampi del terremoto e
della tenebra del cielo della passione. Intorno appena
un bordo dorato. Esterna una cornice d’urti di verdemarcio.
Striature di rosso sanguinavano come graffi e ferite.
Fingevano il marmo, ma erano di carne.
Si sarebbe potuto sentire Dio parlare dalla bocca
di Ezechiele: «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò
un cuore di carne», se non avessero fatto sentire dentro
i nostri istinti, se non fossero state così potenti e sensuali.
Eppure quelle pitture erano mistiche, forse proprio
perché così carnali. Erano illustrazioni dei sensi e
degli istinti più profondi che avevano fatto pace con il
puro. Erano l’intensità del cuore quando ha passione.
Forse erano registrazione delle vibrazioni dell’animo
tellurico del coro che canta alla Madonna durante le funzioni.
***
Se tutto si scombina
(ovvero: sulla tana di una voglia insana)
C’è sempre una tentazione da superare per arrivare a
possedere il cuore delle cose. C’è sempre da combattere
contro un’insinuazione, e da attraversare la chiazza
del barattolo del dubbio rovesciato. È stato così anche per la beata vergine Maria.
Alla Nunziata, perso il giglio, l’angelo sembra il serpente e Maria Eva.
Anzi la scena fa piuttosto pensare a Gen 6, 1-3°
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi
sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di
Dio videro che le figlie degli uomini erano arrapanti
e ne presero in moglie quante ne vollero.
Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà
per sempre nell’uomo».
I primi scrittori ecclesiastici considerarono, infatti,
quei “figli di Dio”, angeli, colpevoli di essere scesi
senza mandato, a godersi “le figlie degli uomini”, donne
mortali. Nella scultura della Nunziata, però, per
quanto l’angelo si presenti da dietro e prenda la vergine
alle spalle, plana delicato, per non spaventarla. Così,
quantunque il suo arrivo sgomenti, facendo uscire
di mente ogni altro pensiero e dal cuore ogni parola, il
suo fare non è troppo brutale.
Poi, nella Genesi si legge che, fatto quello sgarro, lo
spirito si ritirò da quei “figli di Dio”, da quegli esseri perversi.
Se si sposta, sostituisce o toglie una sola nota, una
virgola, un accento tutto si scombina, cosa accade se
proprio lo spirito si ritira e muore?
Restano senza principio l’anima e la carne.
Deve essere stato allora per non permettere che
l’anima sperdesse tutte le sue energie in cose rozze e
vili, come fu per gli angeli diventati ostili, che gli uomini
di qui la imprigionarono nello stomaco, e per
smettere di essere così feroci e rudi, la strinsero con nodi.
***
Al foro dell’occhiello
Maria è la vergine, la zita perfetta. È il fiore che ostentiamo
l’ 8 settembre sul bavero della giacca del paese, al nostro occhiello.
Per noi Maria è così tanto in alto e incontaminata
che a volte attira il fascio degli sguardi troppo su di sé.
Qui da noi la devozione per lei sfiora la bestemmia, accarezza l’eresia.
Da noi, in effetti, la Madonna a volte prende il
posto anche di Dio. Da noi la si prega e canta con questi
versi, con queste immagini, con queste strofe forgiate
per fare più gloriosi e lustri i suoi trofei
Calitri nell’ansia
ricorre al tuo trono
la gioia e il perdono
l’ottenne da te
(terza strofa di La Stella del mare).
Negli ultimi due versi della quartina Maria, nell’opera
della redenzione, più che corredentrice, sembra
la sola unica attrice. Anche in
E una è la stella
e Maria s’incròna
si mise la cròna
e in ciel se ne andò
(strofa tipo ripetuta tredici volte, ogni volta aumentando
una stella, di Una è la stella)
Maria sembra faccia a meno di Dio. Sembra che sia lei
la divina, la stella, come propongono i due titoli dei
componimenti. In questo secondo canto, poi, Maria
oltre a non sembrare affatto essere stata assunta, ma
capace di ascendere in cielo per sua volontà e con le
sue sole forze, risulta anche colei che, come Napoleone,
più che essere incoronata, mette, come insistono
il secondo e terzo verso di ogni strofa, da sé la
corona e si fa da sola regina.
Alla Madonna o dietro la statua dell’Immacolata
durante la processione, le voci delle donne erano primitive,
e si facevano una con quelle delle generazioni
passate. Erano cori tempestosi che vibravano d’una
fede più antica e viscerale. Erano voci lanciate con
impeto mistico, con dentro ancora qualcosa di orgiastico.
***
Da Alfonso Nannariello, Rosso inverso, Libria 2011