Il 13 agosto 1899 nasceva il genio della suspance, colui che ha rivoluzionato il linguaggio cinematografico. L’ultima classifica dei migliori film di tutti i tempi stilata da Sight & Sound, la rivista cinematografica britannica pubblicata dal British Film Institute, ha conferito il primo posto a Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock. Dopo cinquant’anni, questo capolavoro supera Quarto Potere di Orson Welles, altra opera eccellente del mondo della settima arte. In Italia è conosciuto con il titolo La donna che visse due volte, è un ricco di personaggi complessi, intrecci psicologici e tematiche che costituiscono uno degli immaginari più accattivanti della sua filmografia.
Oggi che ricorre la data della sua nascita e alla luce del premio che uno dei suoi film ha ottenuto, vorrei scrivere di uno dei miei registi preferiti, dall’inimitabile personalità, ironico, curioso osservatore della realtà e analista delle emozioni umane.
Passivi comportamenti sociali aggressivi, desideri proibiti frenati, l’ambiguità, il dubbio e la paura, l’inconscio, il contrasto tra realtà e apparenza sono elementi ricorrenti dei suoi film. Vertigo racconta una storia di fobie per le altezze, di un piano omicida basato sull’inganno e il raggiro di un amico. Scottie, ex poliziotto, si fa coinvolgere, troppo. Fino ad innamorarsi di una donna che non esiste, fino a volerla ritrovare in un’altra, fino a scoprire che è la stessa. Fino a perderla due volte. Vertigo si regge su un inganno e le falsità possono solo portare allo smarrimento.
In Vertigo, il tema della vertigine è sviluppato in elementi diversi, a partire dai titoli di testa che appaiono su un volto, fino al particolare dell’occhio, dentro l’iride in una spirale infinita. Gli incubi di Scottie, che soffre di vertigini, la sua vertigine amorosa, che sfocia in un’ossessione, lo chignon di Madeleine, la scala a chiocciola, il tutto racchiuso nella circolarità della vicenda narrata.
Per quanto riguarda l’innovazione tecnica, l’effetto vertigine è riprodotto con una sincronia tra zoomata in avanti e carrellata indietro, un’ eccezionale contributo per la visuale.
Il concetto di doppio è l’altro polo principale dell’opera: uno stesso personaggio vive due volte, è fatto rivivere da un altro. La morte si ripropone due volte.
Vertigo è una storia di paure inconsce, di quelle che fanno finire Scottie in una spirale senza uscita. La stessa in cui Hitchcock, come solo lui sa fare, trascina chi guarda. Vertigo coinvolge lo spettatore in una ricerca, rincorso dalla suspance: Hitchcock ne è il maestro. La distingueva dalla paura, tipica degli horror, in cui qualcosa o qualcuno appare all’improvviso. La suspance invece, pone lo spettatore in uno stato di ansiosa attesa, accentuata dalla musica, da ombre e luci particolari, da informazioni aggiuntive rispetto alle conoscenze che i protagonisti della storia possono avere: il meccanismo più efficace per interessare lo spettatore, per turbarlo.
Lo spettatore, anche in questo film, diventa un compagno di osservazione di Hitchcock, è come preso per mano, immerso e indotto a provare empatia. E’ reso partecipe. A questo contribuiscono le riprese in soggettiva, l’attenzione scrupolosa nella costruzione di inquadrature, sceneggiatura, suoni, montaggio.
Per qualcuno il cinema di Hitchcock è dedicato a coloro che sanno andare oltre, oltre l’immagine, gli schemi, la realtà, la fantasia, il sogno. Sarà per questo che ho sempre sentito una certa affinità e sintonia con il suo modo di raccontare e rappresentare. Sarà per questo che resta un punto di riferimento per tanti registi. Sarà, forse, perché egli stesso come i suoi personaggi, apparentemente così innocenti e rassicuranti eppure ambigui, sono perfetti nella costruzione di un mondo a tinte gialle. Quello più vicino alla quotidianità, alle apparenti consuetudini della nostra vita.