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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
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(Senigallia, 31 dicembre 1863- Roma, 12 aprile 1939)
Le fiabe della virtù
Il silenzio che ha circondato e circonda la figura letteraria di Alfredo Panzini rappresenta una delle ingiustizie nel panorama culturale italiano; certo, è ormai assodato che molto spesso i talenti nostrani non trovano fortuna in patria mentre all’estero sono apprezzati ma nel caso di Panzini, considerato ingiustamente uno scrittore “minore”, l’America tra gli anni’20 e ’30 ha compiuto dei veri e propri atti celebrativi, dedicando all’autore marchigiano traduzioni dei suoi scritti e celebrative recensioni sul New York Times e su Vanity Fair. Snobbato in Italia e amato
in America quindi, che ha definito Panzini<<il miglior scrittore di prose italiane>> e il suo romanzo “Io cerco moglie”, <<il miglior libro comico dopo il Decameron di Boccaccio>>.
Panzini trascorre la sua infanzia Rimini,città a cui si sente legatissimo. Si iscrive al ginnasio comunale, che lascia subito per trasferirsi al collegio Marco Foscarini di Venezia dove termina il liceo nel 1882. Frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’ università di Bologna, dove ha come maestri Carducci e Acri, qui conosce anche Pascoli.Terminata l’università si dedica all’insegnamento nelle scuole secondarie prima a Milano nel celebre ginnasio Giuseppe Parini e poi al Politecnico; trasferitosi a Roma nel 1917, è professore nell’istituto Leonardo da Vinci e nel liceo Mamiani, poi è la volta nei ginnasi di Castellammare di Stabia e di Imola; scontroso e dolce al tempo stesso, Panzini ricorda spesso la sua famiglia nei suoi scritti e nei sui articoli di giornale.
Nel 1890 sposa Clelia Gabrielli, dal matrimonio nascono quattro figli: Umberto che morirà a soli dieci anni e al quale Panzini dedica le “Fiabe della virtù”, Emilio, Pietro e Matilde. Panzini ama le cose semplici, nonostante il suo aspetto possa lasciar pensare ad un uomo estremamente serioso.
I suoi primi scritti sono costituiti da saggi e traduzioni; il 1896 segna l’inizio di una brillante carriera: collabora con “Illustrazione italiana” dell’editore Treves , “La Vita Internazionale”, la “Nuova antologia”, e“La Voce”.
Nel 1907 scrive “La Lanterna di Diogene”, un viaggio fantastico nello spazio e nel tempo dove non mancano riflessione ed ironia, nel 1911 “Le Fiabe della virtù”. Finalmente i critici iniziano a parlare di lui come un qualcosa di nuovo. Nel 1922 esce il libro “Il padrone sono me” , il cui successo lo porta a collaborare con “Il Resto del Carlino”, il “Giornale d’Italia” e il “Corriere della Sera”.
Nel 1929 viene nominato “Accademico d’Italia”, quando “Io cerco moglie” va in scena a Parigi e la sua carriera è alle stelle, le sue opere vengono tradotte in tutta Europa. Nel 1931 Panzini si misura con la storia con l’opera “Il Conte di Cavour”, scrive antologie scolastiche e cura il Dizionario Moderno.
Benedetto Croce
Vi è il dissidio tra mondo ideale, eroico e mondo reale al centro delle opere di Panzini, la sua educazione umanistica fortemente influenzata da Carducci sembra fare a pugni con la realtà positivista, cultrice del piacere che gli si presenta davanti agli occhi. Nasce come scrittore verista Panzini, sulle orme di De Marchi ma non poteva non rimanere coinvolto nell’eterna lotta tra virtù/saggezza e piacere/meccanicità. Ma come rendere affascinanti per i lettori le riflessioni su antico e moderno? è presto detto: attraverso un ammiccante umorismo e la presenza della donna quale emblema di quella lotta unito ad un raffinato gusto per la contaminazione ( vi sono rimandi a Pascoli e a Sterne, espressioni del linguaggio comune su di una struttura classica. Attento osservatore degli uomini, Panzini ne ha raccontato acutamente vizi e virtù, non ha risparmiato nulla a nessuno, nemmeno alla sua cara Rimini, il cui popolo viene da lui definito come il «più allegro e generoso del mondo (a non toccarlo negli interessi), ma rissoso, clamoroso, sensuale e pochissimo spirituale»
Panzini non può e non deve essere considerato uno scrittore minore, quando, come ha giustamente notato il critico Carlo Bo “sono stati riportati sugli altari delle nostre piccole cappelle letterarie scrittori minori, certamente inferiori al Panzini e per intrinseco valore e per importanza storica.” Le sue opere vibrano di semplicità, ma di una semplicità che stupisce quando racconta la provincia, di una sottile ironia, di un delicato lirismo; Panzini ha proposto qualcosa di originale; è riuscito ad essere dialetticamente aulico, se si può usare questa espressione, perché la cultura italiana non se n’è resa conto? Non è difficile rispondere a questa domanda, Panzini non era entrato nelle grazie di Croce e di Gramsci, liquidato dal primo come “buffoncello”e dal secondo come “uno dei nipotini di padre Bresciani”, si può epurare uno scrittore perché religioso e ritenuto vicino al fascismo? In realtà l’autore marchigiano non si fece mai coinvolgere dall’ideologia fascista, nè aveva beneficiato dei suoi favori, a differenza di altri intellettuali (primo fra tutti proprio Croce che più tardi però avrebbe firmato il Manifesto degli antifascisti). Ma tornando ad una questione puramente letteraria, non sorprende l’ostilità di Croce, in quanto già aveva stroncato gran parte dell’ opera di Pascoli dall’alto del suo idealismo, figurarsi l’innocente e semplice cultura letteraria di Panzini, e nemmeno quella di Gramsci, da sempre avversario del cattolicesimo, il quale non ritiene affatto innocente lo scrittore, ma colpevole di ostacolare la lotta di classe.
Bisognerebbe rilanciare la figura letteraria do questo straordinario scrittore attraverso le sue opere, che purtroppo non si trovano nelle librerie, ma che devono essere rimesse in circolazione. Qualche editore coraggioso e privo di pregiudizi accoglierà questo appello?