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Alice nel paese della vaporità di Francesco Dimitri

Creato il 15 febbraio 2011 da Nasreen @SognandoLeggend

Francesco Dimitri;

è nato in Italia nel 1981 e vive a Londra. Scrive, collabora con riviste, agenzie di comunicazione e blog, gioca di ruolo e va in giro per boschi. Ha finito di scrivere Alice in una casa vittoriana, mentre si dedicava a esperimenti strani. E questo è il suo blog.

Sito dedicato al romanzo: http://www.alice.salani.it/

Alice nel paese della vaporità di Francesco Dimitri
Titolo: Alice nel paese della vaporità (isbn:9788862562423)
Autore: Francesco Dimitri
Serie: #
Edito da: Salani
Prezzo: 16,80€
Genere: Young/Adult  Fantasy, Steampunk
Pagine: 280 p.
Voto:
Alice nel paese della vaporità di Francesco Dimitri

Alice nel paese della vaporità di Francesco Dimitri
Alice nel paese della vaporità di Francesco Dimitri

Trama:

Ben è un giovane londinese che soffre di allucinazioni. Par lavoro legge manoscritti. Una notte gli arriva un libro che si chiama Alice nel Paese della Vaporità.
Noi con lui seguiamo la storia di Alice, un’antropologa che vive in una Londra Vittoriana che non c’è mai stata.
Alice viaggia nella Steamland, una terra invasa da un gas che provoca allucinazioni e mutazioni. Una terra in cui la realtà cambia a ogni istante, in cui ‘giusto’ e ‘sbagliato’ sono soltanto parole, e in cui le parole stesse di trasformano in odori e sensazioni.
Quella di Alice parte come una ricerca, ma si trasforma subito in una lotta per la vita e per la morte. Alice dovrà sopravvivere in una terra oscura, in cui non c’è differenza tra orrore e meraviglia.
Ben legge la sua storia.
E qualcosa succede anche a lui.

Citazione“Stanotte” chiese Alice, “cosa sta succedendo?”

“Tu stai ricordando” rispose Chesy. “E la storia, finalmente, finisce”.

Recensione:

Questo libro avrebbe dovuto sdoganare completamente il genere steampunk in Italia, renderlo a tutti gli effetti un signor genere, unito anche alla piacevole trasposizione della famosa fiaba di Alice nel paese delle meraviglie. Non è stato così.

C’è un problema in cui incappano molti scrittori che si avvicinano allo steam, ed è il più grave di tutti: approcciare i fatti in maniera del tutto vaga e giustificarsi con un “tanto è fantasy”. No, non funziona per niente così.

Partiamo dal principio: ignorando le parti in cui è protagonista Ben (e la sua malattia), che prese da sole possono avere anche un senso, dirigiamo la nostra attenzione direttamente su Londra, dove vive Alice. A casa mia lo steampunk è ambientato in epoca vittoriana o giù di lì (perché poi prende il nome in altre declinazioni), quindi se dico Regina Vittoria (generazione più o generazione meno) sappiamo tutti quello di cui sto parlando, no? Ora, io vorrei capire la ragione per cui una si butta da una mongolfiera per poi indossare un trench (UN TRENCH!) e fumare sigarette. A Londra. Vittoriana.

A prescindere dall’emancipazione di Alice (e già qui ci sarebbe da dire), sarebbe più verosimile che la nostra avventuriera fumi sigari, la pipa, se proprio vuole essere grezza potrebbe masticare del tabacco e poi sputarlo.
Ma le sigarette. Incontriamo poi la Vaporità, questo misterioso gas simile al vapore, ma che vapore non è, su cui ci si può rimbalzare come sulle nuvole di panna nel cielo. L’idea in sé è buona, ma l’autore non la rende al meglio, per cui alla fine i protagonisti appaiono come una serie di omini in preda a trip da LSD. Ci si augura solo che l’effetto sia voluto.

Andiamo oltre, nella Steamland, dove Alice inizia il suo viaggio e incontra nuovi amici. A questo punto vorrei soffermarmi un attimo su quante dannate volte viene usato l’incipit “steam” attaccato alle altre parole per dare loro questa patina steampunk che l’autore tanto vorrebbe propinarci, ma non riesce. Non basta scrivere “steam” perché tutto lo diventi. Gli steamcomputer possono diventare “sistemi di computazione a vapore”, così come gli steamgusci erano facilmente declinabili in qualche altra forma espressiva. Dicevamo, la Steamland: questo luogo dove tutti sembrano strafatti ha il suo perché, le prove che deve superare Alice anch’esse seguono un filo logico (la sua crescita come guerriera e come persona), ma francamente dei vampiri che tagliano la gente coi bisturi, i monaci in bicicletta e del guerriero in mutande d’orso se ne poteva davvero fare a meno. Il basilisco che non pietrifica la padrona è il colpo di grazia, sarebbe stato intelligente farle usare degli appositi occhiali per non vedere lo sguardo della serpe, non dire “non la pietrifica punto e basta”.

Inoltre Chesy, lo Stregatto (unico e vero personaggio valevole del libro), non interviene mai per niente e per nessuno… e poi lo vediamo zampettare allegro a chiamare aiuto per salvare Alice. Non ha molto senso. Le battaglie che poi si concludono con il povero Zap che esplode (e sopravvive, facendoci chiedere come) sono il fondo del barile, mai Deus Ex Machina fu più palese. Quando Alice raggiunge lo scienziato, verso la fine del libro, abbiamo una confusionaria spiegazione di “Carne, Incanto, Sogno” ovvero i tre principi che tecnicamente dovrebbero reggere la realtà. Non avendo la sottoscritta letto “Pan”, non posso porre cenno su quando scritto sullo stesso argomento in precedenza da Dimitri, ma limitandomi ad Alice, la verità è che non si capisce niente. Finale personalmente scialbo, ma reso più godibile dalla presenza di Chesy.

Conclusioni finali: si fa leggere, in un paio d’ore lo si può tranquillamente finire, ma lascia l’amaro in bocca. Dimitri è un ottimo narratore, ma appunto racconta le scene e non le descrive, facendo perdere molti punti al proprio romanzo, quando invece aveva fra le mani un’ottima possibilità di diventare un punto di riferimento per il genere.

La valutazione pertanto è estremamente negativa.


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