PANE. Dopo anni di ricerche non hanno ancora deciso se io sia celiaca, intollerante al glutine, allergica a lieviti, ecc. La medicina non è una scienza esatta, quindi l'imperativo per chi soffre è armarsi di buona volontà e verificarti da solo ciò che ti fa bene e ciò che ti fa male: certo, a me sembra che se non fossero stati autorizzati dalla UE 2500 additivi per la produzione, trasformazione e lo stoccaggio degli alimenti (a fronte del non avere dati sulle loro interazioni reciproche e sull'effetto di queste sugli esseri umani), così come se non avessero incentivato gli OGM (il dibattito sui quali vede da una parte biologi che ne indicano la nocività e dall'altra altri biologi che sospendono il giudizio nell'attesa di dati certi), ciò sarebbe stato un semplice atto di minima intelligenza cui arrivavano pure dei criceti, trovando il modo di dar loro la parola, ma evidentemente sono un'illusa.
Allora intanto io mi rivolgo al cereale resistente della situazione – e se voi avete dati che smentiscono quanto scrivo, lo rettificano o sanno darmi informazioni ulteriori su altre forme di intelligenza autogestita nella catena alimentare, non esitate a farmelo sapere. Come prima cosa che mi faccio da sola da tempo c'è il pane, rigorosamente di farro. Raccogliendo notizie online, sembrerebbe che – nel caso di questo simpatico cereale – se lo provano a modificare geneticamente, lui muore, se gli danno fertilizzanti chimici lui muore, se gli danno antiparassitari chimici, lui muore: resistenza a oltranza allo snaturamento dettato dal profitto, con tanto di esemplare votazione al martirio! E che strano: ha il glutine eppure lo digerisco meglio del pane di mais senza glutine che propinano a prezzi inauditi nei negozi per celiaci... per non dire del fatto che – come qualsiasi carboidrato – a mangiarne un tot non mi infiamma nulla, né mi fa dimagrire repentinamente (sempre brutto segno), né ancora tendo a rigettarlo... Strano, strano...
Pane autoprodotto – signori – non è difficile: anzi, con la macchina del pane è un attimo prenderci la mano. Acqua, lievito di birra (meglio se bio, almeno ci si prova a difendere un po'), farina (appunto nel mio caso di farro), sale, un po' di zucchero/miele, semini vari se li si gradisce, o noci, o olive o quel che vi va. Grande risparmio, e la sensazione che vi fate del bene perché quel pasticcio l'avete fatto voi e sapete – almeno in parte – che ci avete messo dentro. E vuoi mettere quant'è sexy durante la preparazione impiastricciarsi con l'uomo del momento che condivide la stessa passione per la cucina? (Accidentaccio, il meme della scena davanti al frigo di quella scemenza inaudita che altrimenti era Nove settimane e mezza!)
YOGURT. Poi da sola mi faccio da tempo anche lo yogurt: basta un vasetto piccolo bianco di marca decente e pieno di fermenti lattici (io per es. uso quello bio di capra) + un litro di latte a vostra scelta (io quello di capra o quello senza lattosio: vedi intolleranze di cui sopra), mescolare il tutto e versare in barattoli di vetro a chiusura ermetica, quindi metterli sul termosifone avvolti in un straccio da cucina così che stiano al caldo, e lasciarli lì almeno 10-12 ore. Il termosifone a un certo punto s'accende (se siamo nella stagione d'accensione dei termosifoni, ovvio, quindi ciò si potrà fare tra 15gg), sale di temperatura, arriva a quella necessaria perché i fermenti lattici che nuotano tranquilli nel mare di latte si diano una svegliata e inizino a riprodursi – ma non va mai a una temperatura così alta da farli fuori. Vedrete allora che il latte comincerà a 'solidificarsi'. Bene, ora lo lasciate lì e quello, pur se la temperatura diminuisce, continuerà da solo – bastava svegliarli, i fermenti, poi si autogestiscono e non è che smettono di riprodursi perché la temperatura scende. Quando lo yogurt sarà d'una certa consistenza (appunto almeno dopo 10-12 ore) tiratelo via dai termosifoni, aprite il barattolo, fate scolare via il siero, richiudete e mettete in frigorifero per 3-4 ore. Quindi lo potrete mangiare aggiungendovi ciò che volete. Io ci metto un cucchiaino di marmellata, ché sono una viziosa.
MARMELLATA. Sinceramente la lotta governativa al Km0 in favore delle multinazionali alimentari con la scusa della libera concorrenza mi vede feroce oppositrice: ci vuole anche qui poca intelligenza per comprendere che – a parità di quantità/prezzo – è potenzialmente di migliore qualità il prodotto locale in cui tutti i soldi vanno al contadino che lo produce, trasporta su breve distanza e vende direttamente al consumatore piuttosto che quello della grande azienda, magari lontana 1000km, che deve pagare non solo la produzione del bene, ma anche spese di trasporto più alte e una catena di intermediari prima di rendercelo disponibile. Non ci vuole appunto una scienza a fare questo ragionamento, ma tant'è. Quindi io compro la frutta dai contadini della provincia o di quella poco più lontana. Di norma so chi sono, abbiamo conoscenti comuni e posso sempre andare a ispezionare la loro azienda o informarmi su come la gestiscano e quindi sapere quante porcate aggiungano – nel caso – alle loro coltivazioni.
Due chili di frutta (non agrumi, che quelli non so come farli; se siete masochisti e volete impiegarci ora per pulirla dilettatevi con l'uva, le albicocche o altre cose di piccole dimensioni...) danno luogo a seconda delle volte (dipende da quale sia la frutta, quanto grandi i noccioli, quanto spessa la buccia che butterete, ecc.) a quantità variabili di frutta pulita. Io vedo sempre di arrivare a circa un chilo, ma le proporzioni le faccio a occhio e vengono bene comunque. Frutta pulita e lavata quindi, cui aggiungo un po' d'acqua e porto a bollore. Poi aggiungo poco zucchero di canna ché non mi piace troppo dolce, e agar agar o altro addensante bio nella misura indicata sulla confezione. Talvolta un po' di limone, se richiesto sulla confezione dall'addensante. Mescolo il tutto, faccio bollire 5 minuti, metto in vasetti precedentemente sterilizzanti facendoli bollire in acqua in un pentolone una ventina di minuti, quindi li chiudo e capovolgo 5 minuti – così che facciano da soli il sottovuoto. Lasciar raffreddare e consumare dal giorno dopo.
Insomma: per tutto io opero una sintesi di convinzioni/sperimentazioni personali di ciò che mi fa bene e/o mi dà soddisfazione, di informazioni sulla qualità, di misure a occhio, di principi semplici e di tanta autogestione degli altri interlocutori della preparazione (vedi il caso dei fermenti lattici). Il risultato non ha nulla a che fare con quello industriale che in breve tempo vi disgusterà senza ritorno, e mille volte più digeribile e buono come sapore. Sarà infine anche più economico – pure su questo fronte non c'è confronto.
A volte penso davvero che l'autoproduzione, insieme ad altre, sia una delle risposte fondamentali alla violenza e ai soprusi che stiamo vivendo in questi ultimi anni, e ancora più in questi ultimi mesi. Sarà per questo che il baratto è sempre più osteggiato. Ma noi si resiste, nevvero? ;-)
Allora ditemi anche voi: cosa sapete preparare di buono?