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Alison Keith - Propertius. Poet of Love and Leisure (un esempio di recensione filologica)
Creato il 23 giugno 2011 da SpaceoddityAlison Keith
Propertius - Poet of Love and LeisureDuckworth, London 2008X–214 pp.
Il volume dal titolo Propertius. Poet of Love and Leisure di Alison Keith (Professor and Chair, Toronto University) si pone come un’introduzione alla figura di Properzio che, come altre monografie (penso almeno a quelle di Papanghelis, a Stahl, a Janan), colloca il poeta in una polarità capace di definisce subito le coordinate al cui interno ci si muove: amor e otium. Il libro, scritto durante un anno sabbatico, come dichiara la stessa autrice nell’introduzione, è strutturato sulla base dei meccanismi produttivi di buona parte dei lavori accademici americani, che vivono di seminari under e post-graduate, revisioni, letture, confronti parziali e d’insieme. L’esito è positivo in termini di esattezza dei contenuti e dinamica interna delle informazioni, il che costringe il lettore – soprattutto giovane – a una continua rivalutazione complessiva della poesia properziana. Stesso dicasi per la bibliografia, non solo anglofona, che la Keith usa con intelligenza nel convogliare diverse conoscenze scientifiche atte a risolvere i problemi di volta in volta posti, vuoi di ordine filologico-letterario, vuoi di ordine storico o antropologico, o ancora archeologico o antiquario.
Nondimeno il libro di Alison Keith è estraneo all’organicità, più astratta ma sistematica, dei lavori divulgativi o a tesi diffusi in Europa; a lettura ultimata, l’impressione è quella di una sommatoria di dati che, se pure aprono un squarcio attenta sulla produzione letteraria della seconda metà del I sec. a.C., non sembra tuttavia che arrivino a delineare una figura compatta del poeta, nella sua interazione coi generi letterari, come invece la Duckworth ambisce a ottenere nella serie di monografie edita grazie a David Taylor (Classical Literature and Society). Il volume in oggetto si avvale del testo pubblicato da Fedeli (Stuttgart 1984): la più recente edizione di Heyworth (Oxford 2007) è uscita a lavoro già troppo avanzato perché l’autrice potesse utilizzarlo (cfr. n. 4 al Cap. 1). È molto importante formulare una tale precisazione, non perché ci sia una specifica preoccupazione filologica, come del resto sarebbe impensabile in un’introduzione a un autore, quanto piuttosto perché questo libro rimanda continuamente a versi e passi notevoli oltre agli esempi proposti e deve essere letto accanto ai versi di Properzio, per attualizzare il discorso che si sta facendo, oltre i brani proposti. Lo studio, generalmente corretto e privo di sviste importanti, è suddiviso in sei capitoli che recano formule properziane come titoli e sottotitoli in inglese atti a chiarire la tematica affrontata.Il primo capitolo (pp. 1-18), Qualis et unde genus? Sextus Propertius, his Friends and Relationship, affronta la biografia del poeta in chiave di relazioni, per così dire, soprattutto “orizzontali”. Anche considerando la gens, e dunque partendo dalla chiusa del I libro di elegie (proprio dalla I.22 è tratta la formula del titolo), la Keith ha sempre in mente le relazioni intercorse tra Properzio e la sua famiglia con il contesto politico. Tale dato non viene mai isolato dall’asse portante del discorso, col risultato che, da un lato, le informazioni risultano pertinenti, dall’altro, invece, si stenta a definire un quadro d’insieme di questo stesso background. Si apprezzano senz’altro la ricchezza e la varietà del materiale utilizzato; ma, proprio nel tentativo di collocare l’autore nella rete di rapporti della sua epoca, si investono personaggi e problemi appartenenti a ogni ambito della cultura coeva (i triumviri, le fazioni politiche, Mecenate, l’epigramma), che però a loro volta non vengono contestualizzati. Una caratteristica, questa visione “complessa” del mondo properziano, che potrebbe rappresentare un problema per un lettore non specialista alle prese con il poeta assisiate. L’importanza accordata al testo, considerato come fonte biografica esclusiva, finisce proiettare sì Properzio nel suo mondo, senza fissarvelo però con chiari tratti descrittivi, tanto da correre il rischio di appiattire i singoli brani usati su un discorso critico che dovrebbe essere l’obiettivo di un libro dalle finalità didattiche, non già il punto di partenza di successive ricerche specialistiche.Il secondo capitolo (pp. 19-44) prende le mosse da 4.1.134 e si intitola Insano verba tonare foro. Propertian Elegy and Roman Rhetoric. L’obiettivo perseguito dall’A. è quello di focalizzare l’educazione retorica dei poeti augustei e le influenze di questa sull’elegia di Properzio. In quest’ottica, Alison Keith attinge con dovizia alle fonti più diverse, scelte senza parsimonia di mezzi, a partire dai versi che sono l’oggetto stesso del discorso. Il convergere di indirizzi diversi mira a delineare con precisione i problemi principali: in particolare, l’A., avendo sott’occhio la costruzione del curriculum oratorio della romanità colta, si dedica alla struttura del testo retorico, agli standard sociali in esso rispettati, alle specifiche scelte semantiche compiute da Properzio, oltre alla funzione esemplare della mitologia individuabile nel tessuto delle varie elegie e, naturalmente, al rapporto instaurato nella silloge properziana tra retorica e potere. Non può non ritenersi positivo che un tale capitolo sia posto subito dopo la presentazione del poeta attraverso il suo Erlebnis La formazione retorica del romano colto è un fatto assodato e strutturale, talché è giusto che il lettore moderno ne sia consapevole, per consolidare la conoscenza della cultura di base dietro opere altrimenti incomprensibili. Solo così si eviteranno automatismi interpretativi e astrazioni esplicative di altro tipo: ci si riferisce, in particolare, a una, sia pur più sfumata, generic composition, sempre presente agli occhi della Keith, ovvero a una poesia, per dirla in breve, che preferisce “dialogare” coi generi e le forme piuttosto che coi suoi fruitori. Ciò accade soprattutto quando si pongono problemi centrali nella bibliografia su Properzio e sui poeti augustei in generale, fortemente codificati.Il terzo capitolo, il più lungo del libro (va da p. 45 a p. 85), si dedica a uno dei problemi più dibattuti dai lettori di Properzio: il suo rapporto con l’eredità ellenistica. Il titolo, che trae spunto dalla celebre autodefinizione del poeta in un contesto programmatico del quarto libro (4.1.64), è Callimachus Romanus. Propertius’ Elegiac Poetics. Oltre alla consueta sezione introduttiva dell’argomento, l’autrice divide la materia in tre paragrafi. Il primo, dedicato all’epigramma, è invero uno schizzo molto ben focalizzato sulla poesia properziana e le sue radici nell’Antologia Palatina, pregevole per l’equilibrio tra impianto didattico, precisione ed esaustività dei contenuti. Il discorso sulla lirica si presenta già più complesso e ancora non organicamente racchiuso in studi sistematici esaustivi di tutti gli aspetti, e comunque non esauribile nella personale sintesi di 14 pagine che, per la necessaria economia del libro, l’A. dedica al problema. Lirica equivale a qui due sottotracce precise: il Catullo dei carmina docta e Orazio; si stabilisce con l’uno una discendenza esplicita nello stesso Properzio e, con l’altro, un misto tra allusione e adulazione, soprattutto nel terzo libro, quale premessa necessaria alle elegie romane. L’ultimo paragrafo, dedicato all’elegia, occupa la metà esatta del capitolo e pone l’annosa questione del rapporto tra Properzio e Cornelio Gallo, che nell’ultimo quarto di secolo ha invaso la bibliografia specialistica, secondo quella che Cairns, spessissimo citato dall’A., definisce una “pervasive and underestimated influence”. La presenza di Callimaco, filo rosso della critica properziana e che tra l’altro mutua la presenza di Filita e Mimnermo, stempera però qui la pervasività che Gallo ha nella monografia di Cairns (Sextus Propertius. The Augustan Elegist, Cambridge 2006), confermando ancora una volta la struttura diadica di cui Alison Keith si serve per inquadrare Properzio. Il risultato è proprio una composizione di due discorsi diversi, sbilanciata, ma in positivo, verso la poesia ellenistica, che consente all’autrice di porre in modo organico ed esplicito i fondamentali problemi dell’investitura poetica e dell’ekphrasisNel quarto capitolo (pp. 86-114), Cynthia Rara. Propertius and the Elegiac Traffic in Women, incontriamo la componente autobiografica della poesia properziana, che emergerebbe dal ruolo che vi assumono le donne. L’A. fa sua l’interpretazione metaletteraria – oggi corrente – di Cinzia quale poesia, connessione tra Properzio e i suoi modelli (Cynthia textualization, la chiama l’autrice a p. 99). Si comprendono, e in parte si condividono, le ragioni dell’approccio. Ma mi sembra che, stressando un simile meccanismo, non si rechi vantaggio nell’apprezzare la ricchezza di questa poesia, in particolare della “narrativa” elegiaca che non funziona come un sistema allegorico omogeneo. In più, sebbene la 3.24-5 funzioni senz’altro come palese marca metaletteraria, ciò esclude il quarto libro dalla codifica fin qui valida, senza che si riesca a trovare un equivalente interpretativo valido, da un lato, né a spiegare la – sia pure ben individuata – presenza femminile nelle elegie romane. Di contro, è interessante la prospettiva del “traffic in women” (con tutto il corredo di gelosie, rivalità, ripicche etc.) come specifico meccanismo intertestuale e allusivo alla tradizione in cui si inserisce il poeta, nel suo circolo poetico tutto al maschile.Il quinto capitolo (pp. 115-138) per la prima volta nella monografia reca un titolo tratto dal II libro (e precisamente dalla 2.34): Hos inter si me ponere Fama volet. Between Men è il naturale sviluppo del discorso affrontato nelle pagine che lo precedono. Vi si affrontano le amicizie maschili, ora nella componente amicale, ora nei rapporti di potere, ora nella sfera erotica: partendo da uno studio di E.K. Sedgwick del 1992 (Between Men: English Literature and Male Homosocial Desire, New York), la Keith definisce questi rapporti attraverso un “homosocial network”, dove convergono in egual modo la sfera privata e quella pubblica, i rapporti di amicizia e quelli di alleanze, fedeltà e tradimenti politici. Pur nell’omogeneità delle caratteristiche del libro, queste pagine rappresentano forse il tentativo più riuscito di aprire la poesia properziana al mondo coevo, e gettano le basi per quello che sarà il discorso conclusivo, costituendo il nucleo centrale di questa seconda triade di capitoli, più compatta e convincente. L’ultimo capitolo (pp. 139-165), Nequitiae caput. Propertius Elegy and Imperial Leisure si attesta appunto sul tema dell’otium e dunque del rapporto tra intellettuale e potere augusteo. L’autrice, con un pregevole sforzo di sintesi concettuale, sostiene un “deep engagement of Propertian elegy” (p.141); e cioè che proprio la poesia, sia pure una poesia di nequitia (che qui viene tradotta “idleness”), rappresenterebbe l’impegno politico del poeta. Il rapporto di reciproca influenza tra imperialismo e poesia augustea viene mostrato a partire dall’ormai irrinunciabile eredità di Cornelio Gallo, ma serve per riprendere le fila di tutto il materiale fin qui proposto. Dunque alle amicizie, ai rapporti tra politica militare e dominio sul mediterraneo fino all’eredità di luxury acquisita a sua volta da Roma proprio dalla tradizione greca, col relativo lessico mutuato (secondo uno studio di Maltby, Tibullus and Language of Latin Elegy, in «Proceedings of the British Academy», 93:377-98), maggiore che nei poeti coevi, per rinforzare l’idea di un impegno specifico di Properzio nella creazione di un nuovo impero fondato sulla fusione di due autonome tradizioni. Nella precisione con cui la Keith recupera i dati forniti nel corso del suo studio, si evidenzia la capacità di tirare le fila di un discorso e di guidare, a lettura ultimata, studenti e studiosi di tradizione diversa, attraverso proposte sempre fruttuose e stimolanti. Altrettanto utili possono intendersi, per una rapida consultazione, i due indici, quello dei termini notevoli e quello dei passi discussi, e la bibliografia – preceduta dall’elenco di abbreviazioni –, che propone in ordine alfabetico ben quattordici pagine di lavori citati.
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