Regia: Frank MarshallOrigine: UsaAnno: 1993Durata: 120'
La trama (con parole mie): siamo all'inizio degli anni settanta, ed una squadra di rugby proveniente dall'Uruguay viaggia verso il vicino Cile per un impegno sportivo su un aereo noleggiato per l'occasione in compagnia di amici e parenti.
A causa di un errore di valutazione del pilota, il velivolo precipita nel cuore delle Ande: sopravvivono allo schianto più di venti tra i passeggeri, che dovranno fronteggiare il clima, la malnutrizione e le ripercussioni delle ferite riportate nella speranza che qualcuno possa giungere a salvarli.
Quando diverrà certezza il timore che i soccorsi non giungeranno, due dei giocatori della squadra, i giovani Roberto Canessa e Nando Parrado, nutrendosi con la carne dei morti nello schianto, attraverseranno le montagne per cercare aiuto e salvare i compagni sopravvissuti.
Esistono alcune pellicole cui si finisce per restare clamorosamente legati nonostante non appartengano certo a quelle che faranno la Storia del Cinema: Alive, nello specifico, è uno dei pochi ricordi ancora intatti che ho del periodo passato tra la fine delle scuole medie e l'inizio del liceo.
Sono ancora vive nella mia memoria, infatti, la classica uscita mista in cui si sperava, alla fine, di limonare duro con qualche vicina di banco che non si sarebbe mai ammesso rientrasse nei nostri gusti, il mio compagno di classe Mirko, che già allora - sarà stato il suo metro e novanta, saranno state la giacca e la cravatta che portava sempre - fu scambiato per il padre accompagnatore, e gli echi di questa reale vicenda - narrata con una notevole fedeltà dal regista - che portavo in me, memore dei racconti di mio padre e del romanzo scritto da uno dei sopravvissuti che ancora oggi trova spazio nella mia libreria.
Così, rivederlo conJulez che per la prima volta assisteva al racconto dei sopravvissuti di uno dei disastri aerei più noti della storia dell'aviazione civile è stato come sfruttare una macchina del tempo, con la certezza - sicuramente più confortante - che, in un modo o nell'altro, avrei limonato di sicuro senza troppi patemi d'animo prima, dopo o durante la visione.
Tornando al film, e messo in chiaro che si tratta di un'opera decisamente retorica e televisiva, occorre sottolineare ancora una volta la grande fedeltà che regista e sceneggiatori hanno mantenuto rispetto alla maggioranza degli eventi legati alle vicende dei sopravvissuti, dalla valanga che li sorprese, alle difficoltà per i feriti, fino al tabù che da titolo al romanzo e che costituisce uno dei cardini dell'intera vicenda nonchè uno dei principali motivi per i quali oggi è ancora possibile parlare di chi riuscì ad uscire vivo da quell'inferno di neve: la scelta di nutrirsi della carne dei morti, unico mezzo di sostentamento tra montagne in grado di mettere alla prova anche alpinisti esperti ed equipaggiati al massimo.
A questo proposito, è curioso notare quanto l'impronta data all'intera pellicola sia quella di un film incentrato sull'importanza della fede mentre, al contrario, credo che l'impresa di Canessa e Parrado sia figlia dell'incrollabile volontà di due uomini capaci di riuscire in una traversata che, nelle condizioni in cui erano - vestiti di fortuna, un sacco a pelo ricavato dalle imbottiture dei sedili dell'aereo, scorte di carne tagliata dalle vittime dello schianto - è razionalmente associabile alla fantascienza pura.
In questo senso la visione - tutto tranne che memorabile - può risultare comunque interessante e stimolare riflessioni rispetto ad una situazione estrema come quella che vissero i sopravvissuti all'incidente: personalmente, mi trovo completamente in linea con la condotta di Nando Parrado, che attesa la morte della madre e della sorella è il primo a farsi promotore dell'idea di nutrirsi della carne delle vittime in modo da avere l'energia necessaria per partire e cercare aiuto.
In fondo, la volontà di vivere - e sopravvivere - andrebbe ben oltre una semplice convinzione sociale o religiosa: in fondo, non basterebbe - e non è bastato - sedersi a pregare per attraversare le Ande.
Non c'è dio che tenga.
Sono stati due uomini, a farlo.
Con mezzi di fortuna, pochissimo cibo, il rischio di morte ad incombere sulle loro teste e due palle grosse come una casa.
MrFord
"I will survive
oh as long as i know how to love
I know I'll stay alive
I've got all my life to live
I've got all my love to give."Gloria Gaynor - "I will survive" -
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