A Catania gli appuntamenti si danno al bar, soprattutto se il termometro segna più di 30 gradi. Aspetto il mio interlocutore seduta in un noto locale del centro, inebriandomi di aria condizionata impostata a livelli quasi glaciali. È quasi un obbligo nella nostra città chiacchierare davanti ad una rinfrescante granita con brioche con tanto di cappello, anche se si tratta di lavoro. Andrea arriva trafelato, pieno di borse e una custodia da chitarra enorme, si siede scusandosi per il ritardo e scherzando sul fatto di essere “un artista”. Andrea Denaro, infatti, oltre ad essere un musicista, è uno degli organizzatori dell’Alkantara Fest e ci siamo incontrati proprio per parlarne. La prima domanda spetta di rito al cameriere e dopo aver deciso i nostri gusti, comincio con le mie di domande.
Prima domanda, la più importante. Cos’è l’Alkantara Fest?
«L’Alkantara Fest è un festival di musica folk che si svolge nella provincia di Catania da otto anni nel periodo estivo. Quest’anno è, per l’appunto, giunto alla sua ottava edizione e dopo essere stato ospitato in questi anni da tanti paesini della provincia, approda a Catania e si svolgerà interamente nella suggestiva, e spero altrettanto fresca, cornice del Cortile Platamone. Il festival è inserito all’interno del programma dell’Estate Catanese e per questo motivo il Comune di Catania ci ha gentilmente concesso l’uso del Cortile dal 27 agosto al 2 settembre, la settimana in cui si svolgerà la manifestazione».
Per le informazioni generali, ci siamo. Ma, il nome e l’idea da dove nascono? C’è una qualche connessione col territorio oppure è un festival nato per caso?
«La spiegazione del nome è abbastanza poetica. L’Alcantara è il fiume che attraversa le province di Catania e Messina, il suo nome deriva dall’arabo “Al qantar”, il ponte, e allo stesso modo abbiamo immaginato il festival: come un fiume di musica che scorre e come un ponte tra culture e tradizioni popolari vicine e lontane. Da quest’idea prende vita il progetto di Mario Gulisano, direttore artistico dell’Alkantara Fest nonché fondatore dell’Associazione Culturale Darshan che lo organizza. Questa associazione è attiva in Sicilia dal 1998 e fin dagli esordi si è interessata alla valorizzazione della cultura locale in ambito internazionale, promuovendo gli artisti e realizzando una programmazione concertistica di ampio valore artistico».
E infatti quest’anno avete come sempre creato una sinergia tra vari paesi, se non sbaglio ospiterete gruppi provenienti da varie parti dell’Europa
«Esatto. La nostra filosofia è quella di creare dei rapporti e dei contatti con le altre culture. Ogni serata è dedicata ad un tipo di musica diverso. Quest’anno ospiteremo un gruppo danese, i Danish-Ghanish Connection; uno sardo, i Prendas; i siciliani Faciti Rota, Banda Oriental, I Marvizzi e I Beddi; un gruppo folk austriaco, gli Wiadawö; un trio serbo-ungherese, i Mentés Másként. Ci sarà anche una serata dedicata alla tarantella con due gruppi che difficilmente faranno restare il pubblico inerte sulle sedie, i Fonderya Trio che fanno anche pizzica, e il gruppo calabrese degli Scunkiuruti. Insomma, non ci siamo fatti mancare nulla».
Questi gruppi vengono contattati personalmente o si propongono da sé? Come avviene la selezione?
«Di base vengono contattati da noi. Ammetto che è un lavoro molto certosino, ci vuole molto tempo e la ricerca è lunga. Spesso però invitiamo e ospitiamo gruppi con cui siamo venuti in contatto per vie traverse. Oltre ad essere “addetti ai lavori”, siamo anche musicisti e quindi tra un concerto e un festival è semplice fare amicizia con altri artisti. Il bello del dietro le quinte è proprio questo, i legami che si creano e la voglia di scambiarsi sensazioni e amicizia attraverso le note».
Un’ultima domanda. Come risponde il territorio siciliano ad un festival tanto particolare?
«È un festival internazionale, quindi ha un eco abbastanza vasto. Per noi è un orgoglio ospitare artisti di un certo calibro nella nostra città che apparentemente è lontana dai grandi circuiti musicali. Il pubblico risponde bene, anche i giovani. Ci preme interessare le nuove generazioni perché venire a contatto con strumenti particolari, sound differenti, è un modo per aprirsi al mondo e alle altre culture. Ed è questo di cui abbiamo bisogno in questo momento».
La nostra intervista finisce così, tra molliche, coppe svuotate e il bisogno di aprirsi e ascoltare le varie culture. Musicista e anche gentleman, Andrea afferra tutte le sue cose e corre a pagare il conto. Sullo scontrino scribacchia qualcosa e me lo porge. Penso essere un numero di telefono, e arrossisco pensando di avere fatto colpo. Mi sbaglio, è una frase di Bob Dylan «Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore». Eh sì, lui si vede che vive di musica! Andrea ci vediamo all’Alkantara Fest e grazie per la granita!