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All’improvviso posted by Dora Millaci

Da Parolesemplici

All’improvviso posted by Dora MillaciPuò il silenzio divenire assordante, tanto da rimbombare in testa e finire per odiarlo?

Nulla faceva presagire quello che da lì a poco, sarebbe capitato.

Era stata una bella serata. Gente simpatica e festa divertente. Ero stanca e decisi di coricarmi subito. La casa l’avrei sistemata l’indomani.

Un trillo nella notte e poi un altro, che spaccarono a metà la quiete dell’appartamento e della mia anima.

Un vento gelido autunnale sferzava sulla città. I miei passi sulle foglie secche riecheggiavano nel buio. Uscii velocemente e come un automa, attonita per la notizia appena ricevuta, salii in macchina.

Nel breve percorso verso l’ospedale, cercavo di ricordare o trovare un segno, uno qualunque che potesse giustificare il malessere improvviso di Giulio. Non ne trovai. Stava benissimo. Avevamo riso e scherzato. Ballato quel tango che tanto amavamo. Era impossibile credere che in quel momento, si trovasse in sala operatoria.

Nel chiudere la portiera notai che le mie mani tremavano. Non era il freddo. Una morsa alla bocca dello stomaco mi faceva mancare l’aria.

Il pronto soccorso era deserto. Dovetti girare un po’ per trovare Elisa e gli altri. Le facce tirate, gli occhi lucidi, non indicavano nulla di buono.

“Cos’è capitato?” domandai con un filo di voce.

Elisa mi abbracciò forte prima di rispondere: “Ha avuto le convulsioni e si è accasciato a terra”.

Non riuscivo ancora a capire e scuotendo il capo, rifeci la domanda.

“I medici parlano di aneurisma cerebrale. Lo stanno operando, ma non hanno dato molte speranze”.

Avvilita mi sedetti con un tonfo. Ero un sacco vuoto. Di colpo, sentii tutto il peso del mondo sulle spalle.

Giulio il mio fidanzato, stava lottando tra la vita e la morte.

E’ incredibile come in certi momenti vengono in mente le cose più strane. Le più insignificanti e sciocche. Forse è una sorta di autodifesa per non crollare.

Pensai al bottone della sua camicia, che si era staccato dopo essersi impigliato nei miei capelli, mentre ballavamo. Ed al bicchiere di vino che aveva rovesciato sul tappeto del salotto.

In quel frangente, ogni suo ricordo mi sembrava importante.

Non potevo. Non volevo lasciarlo andare. Avevamo una vita davanti; una vita da costruire assieme.

I minuti scorrevano lenti nel silenzio di quella piccola sala d’aspetto. Riuscivo a sentire il ticchettio dell’orologio appeso alla parete di fronte. Era così fastidioso, che l’avrei spaccato. Eppure il tempo pareva essersi fermato.

Un’angoscia mista a dolore e speranza s’impadronì di me, in quell’attesa interminabile. In quel silenzio che faceva paura.

L’assenza di notizie mi stava uccidendo. Mi sembrava d’impazzire. Erano trascorse due ore ed ancora, non sapevamo nulla.

La tensione era così forte, che anche un piccolo rumore ci faceva sobbalzare. Ci guardavamo smarriti, increduli, incapaci di reagire di fronte alla sfida che il destino ci aveva riservato.

Avrei voluto piangere per scaricare tutta quell’ansia, ma non versai  una sola lacrima.

Mi sembrava di vivere in una dimensione parallela, in una vita non mia. Tanto era il dolore che stavo provando.

Alle quattro del mattino, un medico si affacciò alla porta.

Smisi di respirare.

“L’operazione è riuscita. Siamo arrivati per tempo. Però è ancora molto grave e non possiamo dare certezze. La prognosi è riservata.”

L’incubo non era ancora finito. Quanto avrei dovuto aspettare? Quando quell’angoscioso silenzio, poteva riempirsi di urla di gioia e di risate?

Vivere nell’attesa logora l’anima. E’ uno stillicidio che lascia a malapena la forza di sopravvivere, con la speranza appesa ad un filo. L’impotenza, l’inutilità davanti a queste situazioni, è forse il dolore peggiore.

Quel silenzio, quel dannato silenzio durò interminabili giorni. Durante i quali non lasciai Giulio neanche per un istante. Nel bene o nel male volevo essere con lui.

Il sole stava nuovamente tramontando. Lo potevo vedere dalla finestra della camera della terapia intensiva. Ascoltavo assorta in chissà quali pensieri, i segnali dei monitoraggi continui, che scandivano le mie ore.

“Dove sono?”

Il silenzio si lacerò, come un drappo che si rompe. Come un tuono che squarcia ed irrompe in un cielo azzurro.

Quella fievole voce s’era fatta largo con forza. La vita prepotentemente aveva ribaltato la sorte.

Il dramma era terminato.

 


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