All’inferno rossonero: La divina scomunica (canto III)

Creato il 14 ottobre 2010 da Gianclint

I BRAMOSI

Dopo gli ignavi, vengo portato a forza insieme al mio compagno di viaggio, all’interno del primo girone. Il girone in questione è quello dei tifosi bramosi. Ossia quei tifosi che bramano dall’avere qualcosa in cambio dal Milan o da chi lo rappresenta anche di striscio, pur di poter dire “io sono un tifoso privilegiato e tu no!”. In questo si riconoscono quelli che aspettano anche 3 ore pur di fare una foto accanto a Coloccini o Vogel, foto che ad ogni occasione tirano fuori davanti agli amici. Poi quelli che siccome sono vent’anni che fanno l’abbonamento appena aperte le prelazioni, pretendono delle agevolazioni come una cena con Mauro Suma, o una partitella in giardino con Paolo Maldini. Per non parlare di quelli che siccome passano la vita a catechizzare gli altri che, a detta loro, sono colpevoli di non tifare in modo corretto, pretendono di essere presenti ovunque, su Milan Channel, alle cene aziendali, in prima fila allo stadio anche alle amichevoli contro il Varese. Insomma sono quelli che dicono che loro danno tutto per il Milan, però ovviamente… pretendono SEMPRE qualcosa in cambio. I tifosi bramosi in questo girone, passano la vita ultraterrena in ginocchio a venerare le effige di Berlusconi e Galliani. E tra loro c’è anche uno sparuto gruppo che venera una fototessera di Mauro Suma.

Le venti persone se ne andarono via
Si unirono al coro dei tifosi in ginocchio
e così in un secondo, ripartì la litania.

Vi erano un migliaio di persone, ad occhio
tutti genuflessi sotto dirigenziali volti
v’era anche un gruppetto sotto “il capocchio”.

“Questi sono i bramosi, gruppo di stolti.
Son quelli che vogliono aver regali e favori.”
Disse l’amico: “ne conosco molti.”

la mia attenzione era per quelli fuori
che se ne stavano in disparte a pregare,
anche loro prostati e lusingatori.

“E lor chi sono?” “Non te ne aver a curare,
loro sono il peggior gruppo, di Suma veneranti.”
Così mi disse e io presi di lor contare.

Se erano dieci o dodici, erano tanti.
Un di loro s’alzò e di me s’accorse,
venne meco con atteggiamenti urtanti.

“O che voi fai qui?” a tal verbo ricorse.
“Non voglio problemi, stanne certo.
Ora ce ne andiamo via, almeno… forse!”

“Qui ci ha gettati da un buco aperto
chi voi venerate, adulate ed amate.
Or che dici di tal gesto ch’io t’ho discoverto?”

Non mi pentii di tal parole mie pronunciate.
Chiamò appresso a se le forze, l’uomo tosco,
in quattro arrivarono, di dieci che avea vantate.

“Or l’è tutto chiaro, la storia conosco!
Sempre qualcuno ci viene mandato.
Un tempo v’erano due sì tali nosco.

Ma il nostro credo non avean tramandato,
Voi mi ricordate loro, vi dico in verità.
Dov’essi ora siano, spesso mi son domandato.”

Gli altri ci guardavano con severità,
ma a dirla tutta non aprivan bocca.
Credo si sentissero in netta inferiorità.

“Non credere, il tuo intento non mi tocca,
perché venerare il direttore e finir come voialtri?
Il vostro ciarlar di lecchinar trabocca.”

A queste parole, due emigrarono da noi, scaltri.
“Eppur i nostri stili mi danno regali,
unitevi al gruppo, gioverete con noialtri.”

“Ma ne godi tu solo ti tali speciali?
Condividine ciò coi tuoi altri compari.
Comodo sfruttarli coi lor madrigali?”

Rimase così solo: “Or vediamo se impari.”
Molto testardo era il personaggio,
ma più cocciuti noi, suoi avversari.

“Io parlo da Milan con alto linguaggio,
posseggo la verità ed anche lo scrigno,
vanto conversioni e lavori di spionaggio!”

Un grosso opossum che si credea un cigno,
un vecchio pompato, visionario e ciarlone.
Sul volto del mio amico si aprì un sogghigno.

“Te lo dico davvero, sei proprio un coglione.
Credi tutto ti è dovuto, causa del tuo servire.
Ma quando l’invitto verrà meno, a chi farai da buffone?

Ma piantala subito, vatti a costituire,
dedicati ad altro, che ciò non serve a un cavolo!
Una volta da solo finirai con l’impazzire.”

L’uomo nei gesti si fece malevolo,
ma più di altre parole, bastò uno sguardo,
per farlo correre silente, sotto un tavolo.

“Ma si scappa, vile e codardo.”
Così si chiuse la nostra diatriba,
tra due anime dure e un uomo testardo.

Ma ancor non concludo, il mio lavoro di scriba.


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