All’ombra dei giganti – puntata n. 10

Creato il 23 settembre 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

La regina dei sensi

Quanto ci piace, amici, che i maestri dei quali ci dobbiamo occupare siano donne? Parecchio. E tuttavia in questo nostro spazio, ormai giunto alla decima virata di luna, solo una gigantessa ci siamo azzardati a rapinare. Trattavasi, come ricorderete, di Lady Mary Higgins Clark, incontrata in quel di New York. Per la prossima ospite, invece, ci sposteremo per qualche istante nel New Jersey, a Princeton. Qui, infatti, insegna e scrive una delle più prolifiche autrici americane, con oltre cento libri all’attivo, che da tempo ormai ci stuzzica perché la si vada a disturbare. Molti avranno capito che ci stiamo riferendo alla grande, immensa Joyce Carol Oates, classe 1938.

L’occasione ci viene offerta da un delizioso racconto del 1997, dal titolo l’Infedele. Un gioiello.

Una donna racconta la storia della nonna scomparsa nel nulla quando sua madre e sua zia erano solo bambine. Un mistero, un dramma familiare, che solo una generazione dopo verrà risolto, nel penultimo paragrafo del racconto.

Senza svelare il finale (non subito almeno), ci gusteremo i trucchi e le astuzie con i quali la Oates ha saputo ricreare l’incubo vissuto dalle due bambine protagoniste, soprattutto la sera prima la scomparsa della mamma. Ma spingendoci ad andare oltre, a scoprire un’infanzia complicata da un’assenza che sembrava spiegarsi solo come la fuga da un uomo che a sentire le bambine ‘faceva paura, austero, severo, con i capelli selvaggi. Un uomo pieno di orgoglio e di vanità. Schivo, quasi da sembrare arrogante e terribilmente riservato’. Ma soprattutto un uomo che gridava e picchiava la moglie.

Ma procediamo con ordine. La Oates è senza dubbio maestra nell’uso delle percezioni sensoriali. Tutta la narrazione ne è piena. I loro sensi sono le finestre attraverso le quali, le due bambine percepiscono e si rappresentano il mondo. Ma soprattutto l’olfatto. Strabiliante è il caleidoscopio di ricordi olfattivi legati all’ultimo incontro con la madre ferita, ansimante, distesa nel letto, con i capelli opachi e scarmigliati da giorni. Le bambine ricorderanno per tutta la vita il profumo dei capelli sporchi, la stanza che sapeva di borotalco e di ascelle sudate, di lenzuola sporche, di odore stantio di corpi adulti, di tabacco, di olio per capelli, di lucido per scarpe. E da sotto le lenzuola sporche, salire dolciastro (e stantio) l’odore del ciclo mestruale della madre. E infine, tutto attorno alla casa, l’intenso onnipresente fetore di latrina, di escrementi.

Ma il loro piccolo universo non è fatto solo odori. Vi sono anche suoni, urla più che altro. Soprattutto del padre. Urla forsennate e strazianti del padre in cerca della moglie scomparsa, che terrorizzano e svegliano di soprassalto le ignare bambine.

Ma urla ancora prima, quando mamma e papà litigavano, quasi sempre: non proprio parole, ma un’eruzione di voci. Che risuonava attraverso il pavimento (…), sulle finestre dove il vento soffiava leggermente. Urla di un uomo infervorato e accecato. Dio del cespuglio ardente. Dio del tuono. Troia! Torna qui! Se non sai essere una donna, una moglie!

Se ti tappi le orecchie, dopo le voci arriva sempre il silenzio. Se sai aspettare.

Così tentavano di consolarsi le piccole, abbracciandosi forte sotto le coperte, per non sentire voci che tuttavia le accompagneranno per tutta la vita, voci che in seguito, con sempre maggiore insistenza e convinzione, tentavano di spiegare la fuga, condannando una donna che aveva tradito la fiducia del marito e della propria famiglia, dell’intero paese.

Dov’è la mammina, papà? Tua madre è dove la troverai.

Il padre non aggiunse mai più nulla a quella domanda, e un giorno smise persino di urlare, anzi divenne muto. Un anziano snello, muscoloso e muto. Ma non rinunciò neppure un giorno di puntare il dito contro l’infedele, la donna del mistero che ogni settimana, fino a qualche anno prima, e sempre di sabato, spediva alla famiglia cartoline da chissà dove. Cartoline che nessuno, tranne lui, poteva leggere, ma che mai furono messe in discussione dalle figlie, mai neppure sfiorate dalla tentazione di mettere in dubbio la parola del padre.

Joyce Carol Oates con l’ultimo marito, Raymond Smith

Tanto che la mammina arrivarono a cancellarla dai loro cuori. Certo, la perdonarono (loro sì), ma la dimenticarono. Non sentirono più la sua mancanza. Rimanendo, invece, sempre vicine e fedeli (loro sì) al padre. Persino negli ultimi giorni della sua triste e solitaria esistenza, quando oramai l’alito gli puzzava di tabacco e di denti cariati.

Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò?

Si fece incidere il nonno sulla lapide. Un uomo che di forza di sopportazione, almeno nei confronti della moglie, non ne seppe dimostrare granché.

Ma questo, se permettete, ve lo lascerei scoprire a voi.

Non rimane che a rimandarci alla prossima, miei cari. Sempre a voi gradendo.

Samuel Giorgi



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