L'orchestra ha suonato la sigla della mondovisione e la liturgia mondiale del pallone è ricominciata, puntuale come la messa delle 11. Dunque ecco ripartiti i sacri riti (fischi, cartellini, moduli e formazioni), le necessarie litanie (ripetete con me: Montolivo
segna per noi, Gilardino
segna per noi, Di
Natale segna per noi, Buffon
para per noi, S. Cannavaro
marca per noi, ecc.), le immancabili icone (Lippi, Rivera, Galeazzi, Mazzocchi, Bagni, ecc.) e gli altari imbanditi (conferenze stampa, giornali, televisioni, ecc.). Da quassù vedo bandiere sventolare ovunque come candele di una processione globale, a esprimere il vostro desiderio di sentirvi parte di qualcosa di più grande, di percepire un'identità comune che amplifichi il vostro sentimento, di succhiare dal biberon televisivo emozioni confezionate su misura, emozioni comode, liofilizzate, sotto vuoto, quattro sballi in padella, che altrimenti non sareste capaci di provare per i fatti vostri, se non al prezzo di grandi sacrifici (o di grandi "dosi").
Fin quassù mi arriva (perfino!) il suono delle
vuvuzelas, che solo un bambino pazzo uscito dal Signore delle Mosche può aver concepito un simile perverso aggeggio, per trasformare gli stadi in immensi vespai a cielo aperto. Che magari non ti pungono, d'accordo, ma sta' sicuro che ti stracciano le palle, quello sì. Nel frattempo però si gioca, e ognuno resta come sospeso in un limbo, in attesa del momento cruciale, la partita della propria nazionale, all'attimo di vedere i propri beniamini, proprio quegli stessi che sono appiccicati con le calamitine sul tuo frigo, ma in carne e ossa, senza frigo sulla schiena insomma, che giocare sarebbe un po' un casino, soprattutto se sei appena stato alla
COOP e hai fatto il pieno di bibite, birre, cartoni di latte, uova, formaggi, un arrosto di maiale e due etti di prosciutto cotto (del migliore, per favore, quello della pubblicità, ché gli altri fanschifo) ecc., comunque eccoli lì, schierati in fila, sull'attenti, pronti al gesto atletico di una vita sui tacchetti, allenati per la prodezza in mondovisione, preparati al sacrificio muscolare definitivo e persino alla doppia ammonizione. Insomma eccoli lì, qualcuno (i sentimentali) la mano sul cuore, altri (gli scaramantici) sulle palle. E l'inno comincia.
Cioè a quel punto c'è ovviamente chi si aspetta l'attacco di
Va' pensiero, altri più giovani pensano ci starebbe bene qualcosa di
Jovanotti prima maniera, tipo
Sei come la mia moto o
L'ombelico del mondo. Le ragazze sui trenta voterebbero per un Baglioni qualsiasi. E, da alcuni sondaggi, pare che le signore di una certa età sognerebbero
Volare di Modugno. Invece no. Invece c'è il solito poropò-poropò-poropòpòpòpòpò della premiata ditta Mameli/Novaro, una specie di
Jalisse ante litteram, che dopo quel successone della metà del l'800, non se li filò più nessuno.
Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta... Che poi è un pezzo come un altro e tanto vale tenerselo così com'è, che se non fa tendenza, per lo meno fa tradizione.
Dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa... Comunque le fanfare ci danno dentro e le telecamere lì, a contare le carie dei giocatori che cantano e guaialoro se non lo fanno.
Che schiava di Roma... E tutti seguono il labiale e si incazzano pure se la regia vira sul pubblico.
Iddio la creò... Si vogliono vedere i giocatori che cantano, perché coi loro conti in banca rappresentano la patria, rappresentano tutti i nostri mutui messi insieme, e tutto sembra andare bene finché a un certo punto, tutti, inequivocabilmente tutti, proprio sul rettilineo finale, sbandano:
Stringiamoci a corte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
Allora, okay che "corte" fa rima con "morte" e la rima, si sa, è l'anima della poesia. Ma non è che gli strenui e coraggiosi difensori della patria, tutti scudi, spade, muscoli gonfi e pesanti armature vanno insieme a stringersi nel palazzo del Re a ballare il minuetto al suono del clavicembalo. Plin plin plin. E riverenza, e scivola a sinistra, e scivola a destra e avanti, e indietro, e giravolta, evviaaa... Plin plin plin. Insomma, in questo periodo di Zaia e La Russa, di Cota e di Alemanno c'è qualcuno che, per favore, si prende la briga e va a dire a quei miliardari in mutandoni che la "o" la devono mettere al posto giusto e il verso corretto è:
Stringiamci a coorte
spiegandogli magari che la "coorte" è tecnicamente la decima parte di una legione romana e che per estensione poetica nella fattispecie indica un gruppo numeroso di combattenti in armi schierato e unito contro il nemico, in una specie di 4-4-2 imperiale? In alternativa fategli avere un bel set di crinoline azzurre, che per lo meno in conferenza stampa ci faranno la loro porca figura.