Il potere d’acquisto mostra inesorabilmente lo stato dell’equilibrio tra i redditi e la produzione.
Lo sanno alla Corte dei Conti. Fanno i conti poi presentano il conto con un documento depositato al Senato, in occasione delle audizioni sul Documento di economica e finanza.
I consumi delle famiglie, a causa della crisi, sono tornati ai livelli del secolo scorso. Nel 2014 risultano inferiore del 7,7% rispetto al 2007.
Le esportazioni non sono così distanti dai livelli pre-crisi (-1,4 per cento)
Il Pil era alla fine del 2014 dell’8,9 per cento inferiore al livello del 2007.
Gli investimenti hanno perso 1/3 del loro valore rispetto al 2007 (Toh. Proprio come la produzione industriale, n.d.r.).
Le unità di lavoro sono cadute di 800 mila, il tasso di disoccupazione è cresciuto di 6,6 punti percentuali, il 13 per cento alla fine del 2014.
Durante i sette anni di crisi le retribuzioni lorde pro-capite sono cresciute dell’ 11 per cento.
I prezzi sono cresciuti nello stesso periodo del 12,3 per cento.
La produttività è diminuita anch’essa dell -2,1 per cento, alzando il costo unitario del lavoro del 12 per cento.
Tutto ciò, secondo la magistratura contabile, ”ha ulteriormente peggiorato la competitività di prezzo dell’Italia rispetto agli altri partner dell’area euro e della Germania in particolare”.
Già, con i conti de ‘sti contabili a conti fatti è un bel casino: prima della crisi il potere d’acquisto, fatto di redditi insufficienti, non faceva smaltire quanto prodotto. Con questi squilibri si è entrati nella crisi dove quella sovraccapacità brucia ricchezza potenziale. Oggi, in mezzo alla crisi, quella sovraccapacità si riduce drasticamente: ci sono così meno merci da acquistare rifocillando, per via traversa, un potere d’acquisto.
Già, pure però meno agio a disposizione da distribuire.
Si, insomma, sembrano alternarsi le cause, gli effetti invece sempre gli stessi.
Pur cambiando l’ordine dei fattori, insomma, il risultato non cambia: ancora crisi.
Così se i Nostri, dopo aver fatto i conti, con una chiosa certificano: “La ripresa che si prospetta conserva un’intensità del tutto insufficiente a recuperare le ampie perdite di reddito e di prodotto subite nel corso della recessione”.
Chi potrà dar loro torto?
Mauro Artibani