Magazine Cultura
La prima e più netta impressione che si ha da un primo incontro coi bar milanesi è che per nessuna delle teste presenti dietro a cassa e banconi sia mai transitato il pensiero voglio aprire un bar tutto mio.
Con una certa legittima approssimazione immagini che in compenso sia passata l'idea voglio fare molti soldi e alla peggio voglio lavorare in un posto dove posso rubare i gratta e vinci (per poi fare molti soldi).
Pressoché nulla di ciò che vedrete in un bar di Milano (le eccezioni, come si diceva nella premessa di questa guida, ditecele voi - ma sappiamo già essere tristemente poche, come è lecito attendersi dalle eccezioni) è figlio di un anelito d'amore o speranza nell'umanità: piastrelle, bancone, legno ed eventuali balaustre, ballatoi, ringhiere, mensole sono in genere un campionario del peggio che sia mai stato prodotto nei rispettivi settori - dorature improbabili, finti graniti e bare di legno laccate che sembrano uscite dallo yacht affondato di un industrialotto arricchitosi coi cavalli. Si faccia attenzione: tali valutazioni non dipendono da chissà quale gusto di cui solo il sottoscritto è depositario. Lo sanno anche loro.
La maggior parte dei bar sceglie il peggio con coscienza, risentimento e rancore - va incontro al brutto per confermare una visione dell'esistenza caratterizzata da un profondo cinismo (spesso figlio di dolori fiscali) e da un generico imbarbarimento dei costumi - cui non opporsi per evitare guai.
Chi non ne fosse convinto, si trattenga un po' di più in uno dei tanti bar tabacchi della città - a qualsivoglia ora del giorno.
Scoprirete presto, tra le altre cose, un'area dedicata ai videopoker - praticamente l'equivalente delle stanze del buco o, se preferite, di una sorta di Sert con le ciliegine al posto del metadone.
La popolano individui dannati per l'eternità - o perlomeno fino all'orario di chiusura - che imperterriti si scontrano con le leggi della statistica, con il loro pacchetto di MS e con un senso di vuoto che neanche la peggiore delle vostre domeniche pomeriggio. E' gente che sta male, e non c'è bisogno dello stetoscopio per affermarlo - e i tabaccai/baristi o chi per essi riescono a lasciarsi passare davanti agli occhi queste umanità in caduta libera senza mai dire nulla.
Neanch'io sono per l'intrusione nelle vite e nelle rovine altrui, ma cristo - sei tu che stai dando loro il veleno, sei tu che cambi loro le monete, sei tu che hai scelto di averli lì, sei tu che hai scelto che continui così.
Qualsiasi giudizio, anche il più cinico, si abbia in merito, è tristemente inevitabile riconoscere a buona parte dei baristi una capacità di epoché e di distanza dalle cose umane che solo un cattivo della Disney potrebbe vantare.
Ma come appunto la Disney insegna, i cattivi perdono.
In questo caso, perlomeno, perdono clienti.
Del come e se ne parlerà nei successivi tre capitoli, cercando di trovare qualche esercizio che sfugga alla regola.
P.S. Non è un turismo che consiglio, ma al bar di Piazza Piola il triste parallelo tra stanze del buco e videopoker raggiunge una concretezza sfolgorante: le tristi macchinette (parte del ricavato delle quali va dritto nelle casse dello Stato, che le monitora con l'aiuto della Siae) sono confinate in una sorta di grotta-tabacchi all'interno del bar stesso, in un punto in cui la luce del sole non arriva nemmeno nelle mattine di luglio.
P.P.S. L'insegna che campeggia sopra il post è in viale Romagna: il bar - da poco ex tabacchi - non è certo tra i peggiori, ma inevitabilmente soffre più di ogni altro la distanza ideale dal proprio nome.
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