Magazine Cultura
A intervalli più o meno regolari, Milano si accorge di respirare male: sofisticatissimi rilevatori (o rivelatori?) di polveri sottili e altre amenità avvertono tramite le redazioni di giornali prescindibili che soglie oltre le quali neanche Città del Messico sono state oltrepassate.
Un allarme periodicamente strillato che aggiunge poco o nulla alle proprie umili intuizioni. Dato che attaccarsi a un tubo di scappamento è intuitivamente dannoso, averne migliaia che ti circondano troppo bene non potrà fare.
Il sindaco di turno fa un paio di dichiarazioni attendiste e, se si è davvero messi male, indìce pagliacciate come le domeniche a piedi, iniziativa che ti impedisce di prendere la macchina nell'unico giorno in cui riusciresti a circolare, lasciandoti nel contempo tutto il tempo per 1) odiare i tassisti più di prima 2) scoprire che i mezzi arrivano tardi anche con le strade sgombre 3) rischiare comunque di essere investito in bici da uno degli innumerevoli veicoli con specialissimo permesso di circolare che sembrano aver tutti tranne te.
Le polveri tornano nella comunque orrenda norma per qualche ora e poi si ricomincia.
La discussione si sposta quindi sul verde (secondo una singolare teoria che vede gli alberi come dei mangiasmog forniti e inaffiati da Madre Natura in persona) e giuro di ricordare un qualche sindaco o assessore tirar fuori un qualche studio per il quale, tra le metropoli europee, Milano avrebbe uno dei più alti coefficienti di verde dentro l'area urbana.
Difficile dire quale verde sia stato conteggiato - se ci rientri anche quello dei semafori o dei campionari di moquette scadente o dei campi da calcetto coperti o dei cinque euro - fatto sta che chiunque a Milano ci viva non può che ritenere la sua intelligenza offesa.
Qualora si abbiano dubbi in merito, una visione dall'alto della città - arrampicatevi, affittate una mongolfiera o infiltratevi nel nuovo palazzo della regione - li fugherà. Quello che vedono le aquile e le antenne altro non è che un enorme paciugo edilizio che ha come scusa i bombardamenti e come predominante il grigio piccione.
I parchi spelacchiati sgomitano per farsi vedere, accerchiati dalle gru e dalle parabole e dagli attici degli assessori che dicono cazzate.
A tarpare ulteriormente ogni loro entusiasmo, si è pensato bene di cancellarli, recintarli, impacchettarli e, nei casi peggiori, dar loro nomi di nuovi improbabili eroi per soddisfare giunte revisioniste e presuntuose che credono che amministrare una città voglia dire cambiare i nomi alle cose e mettere in piazza a Natale un albero più alto di quello dell'anno prima.
Ecco quindi spuntare un parco per Sergio Ramelli, i giardini Indro Montanelli e ancora i giardini Quattrocchi (non il puffo, ma il mercenario ucciso dopo aver detto una battuta scritta forse da Totti che ha fatto sentire tanto fieri i paramilitari della penisola. Quindi sì, il puffo) e quello dedicato a Oriana Fallaci (la consolazione ovviamente è poter portare un qualsiasi quadrupede a cagarci sopra).
E mentre qualcuno provvedeva a tali battesimi, altri provvedevano appunto alla cancellazione (è singolare che mettere cancellate diventi cancellare così facilmente) di punti chiave della vita libera della città.
Vale a dire, su tutti, il Parco Sempione e Piazza Vetra (o Parco delle Basiliche, ma nessuno l'ha mai chiamato così).
Due casi chiave nella recente storia del naufragio milanese - dato che negli anni novanta erano due dei massimi punti di aggregazione incontrollata per buona parte degli studenti milanesi e non solo.
Il primo, che si estende dal castello sforzesco all'arco della Pace, ospitava ogni giorno fiumane di giovincelli ardimentosi, bigianti, pensanti, fumanti.
Inevitabilmente, al seguito, una nutrita schiera di spacciatori che nascondevano dietro ai cespugli il più classico dei fumacci da campetto (ricordo che, ancora 15enne, andai a comprare da un gruppetto di marocchini che non facevano altro che giocare a frisbee, e quando c'era richiesta semplicemente lanciavano il frisbee verso il cespuglio chiave - e chi andava a recuperarlo tornava con il fumaccio sotto al frisbee. Furono beccati credo poche ore dopo, ma il piano era lodevole).
Mi sembrava il centro del mondo, un luogo da cui far partire rivolte o discese agli inferi, dove diventare grandi e fare sbagli e dare baci e correre rischi e darsi pugni. Da fuori, agli occhi di chi grande già era, doveva invece sembrare un grosso giardino in cui era diventato più complicato andare a far pisciare il cane - perché era pieno di ragazzini sdraiati e di negri loschi. Sarebbe stato sufficiente prendere in mano la situazione, fare distinguo e controlli per evitare che la situazione degenerasse o che la malavita seria si intrufolasse più profondamente, sarebbe bastato intervenire con misura e severità, lasciando che restasse per molti prima di tutto un luogo dove sentire la propria città.
E invece.
Ci fu una pioggia di telecamere, di cancelli e di polizia, e da un giorno all'altro a Parco Sempione diventò un posto da evitare come l'ufficio del preside.
Uguale destino ebbe Piazza Vetra, che condivideva col Sempione vitalità e problemi analoghi. In quest'ultimo caso, date le ridotte dimensioni dell'effettiva zona prato, i cancelli parvero - e paiono tutt'ora - un vero affronto alla libertà di movimento (non quella dei cani e rispettivi padroni, ora incontrastati sovrani di ogni giardino milanese) e al buon senso.
Superfluo aggiungere come nulla sia cambiato nella quantità di stupefacenti all'interno dei confini cittadini: negli ultimi dieci anni, i quindicenni fuori dai parchi non devono neanche seguire i frisbee per avere un po' di coca, droga che si trova meglio con l'asfalto e che per molti e noti motivi non ha neanche tutto questo bisogno di non farsi vedere.
Chiude la poco invidiabile rassegna di parchi e giardini che appunto la sera chiudono, il misero giardinetto di Viale Montenero - protagonista suo malgrado di pietosi scontri municipali degli ultimi anni. La storia è un esempio chiave del recente andazzo milanese: capita che un bar tra i molti, anni fa, decida di mettere la birra a tre euro - che a Milano è un evento - il mercoledì. La voce gira, la gente arriva e si accalca nel praticello antistante (vedi a inizio post foto d'epoca raccattata in rete). Nel frattempo l'offerta decade, ma la gente non se ne accorge e ne chiama altra. In breve, grazie a un passaparola furioso e a un evidente bisogno di sentirsi-in-mezzo-a-tante-persone-che-bevono-per-non-sentirsi-soli, il giardinetto diventa meta ogni mercoledì di un enorme popolo senza idee e anche senza colpe. Una sorta di gigantesco intervallo dove scorrazzare da un gruppetto all'altro con la birra in mano o restare in disparte a far finta di aspettare qualcuno.
Mercoledì dopo mercoledì, ecco farsi strada il solito copione: i giovini fanno baccano, i giovini buttano le bottiglie per terra, i giovini si sono organizzati e si portano le birre da casa invece che comprarle nel bar di cui sopra o in esercizi limitrofi con evidente mancato guadagno dell'economia della zona.
E cominciarono le retate e gli agguati di vigilaglie e polizieidi assortite.
Nessuno sembrava aver notato i vantaggi della situazione, del fatto che migliaia di persone si radunassero ogni mercoledì in un posto senza nessun apparente motivo - un fenomeno che si poteva con intelligenza (o con malignità, a seconda del soggetto) trasformare in qualcosaltro con sforzo minimo, un migliaio di persone e più al quale si poteva dare un motivo.
Macché. Un bel giorno si decide di cancellare il giardino, iperbole con cui si cerca di descrivere una sorta di isola di traffico con sopra un totale di forse duecentomila fili d'erba e dieci alberi dieci.
Un paio di settimane di proteste, qualche sit-in e poi le ruspe - ma in fondo era difficile unire in una lotta gente a caso che si ritrovava lì solo a bere, a condividere solitudini e avverbi di circostanza e una legittima voglia di stare all'aperto con altri simili.
Un cancello verde - per farlo rientrare nel conteggio di cui sopra - che lo percorre tutto con paletti appuntiti come baionette e così vicini l'uno all'altro da lasciar intravedere appena il resto della cancellata (che è tipo otto metri più in là).
Chi lo costeggia oggi senza sapere la storia dietro, crederà che tra quei quattro fili d'erba vi sia un tesoro, uno scrigno da tenere al sicuro quando arriva la notte e i briganti scorrazzano.
Quindi, quando tutto era ormai finito e i giovini erano stati sparpagliati di nuovo con successo, il coup de theatre, l'affronto ultimo della marmaglia che dirige questo squallido borgo, la dimostrazione che neanche se restassi chiuso per un anno in ascensore con uno qualsiasi di loro riuscirei a giungere a una sola verità condivisa.
Ovvero, di nuovo, il nome - la modalità di rivendicazione preferita dai barbari senza storia.
Non so chi l'abbia proposto e non so quanti a Milano lo sappiano, ma ora quel cagatoio per cani conteso ai giovinastri che avevano semplicemente trovato un modo dove trovarsi che non fosse facebook, quella nuova conquista dei cittadini dormienti e complici si chiama Parco del Muro Di Berlino, o meglio ancora Giardini 9 Novembre 1989.
Ok. Fatemi uscire dall'ascensore please.
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