Alla guerra d’Asia, i retroscena del viaggio di Obama:
“Gli Stati Uniti sono una potenza asiatica e noi siamo qui per restare!”
La frase in questione, pronunciata non da un soldato sbronzo, ma da Barack Obama in visita ad una base militare USA in Australia spiega il senso profondo del tour che tra il 17 e il 20 novembre porterà il presidente in Birmania, Thailandia e Cambogia.
Chi pensa che sia un viaggetto esotico e poco importante non ha capito che in ballo c’è la grande partita con la Cina per il controllo non solo di tutto il Sudest Asiatico, ma, soprattutto, dell’enorme area commerciale dell’ Oceano Pacifico che coinvolge quasi la metà della popolazione mondiale e il 50% degli scambi commerciali globali. Area ancor più appetibile da quando è stato scoperto che il Mar Cinese è ricco di gas e petrolio che alla Cina, grande potenza assettata ma senza risorse energetiche, farebbe davvero comodo.
Peccato che dopo Fukushima, anche il rivale Giappone ha enorme sete di energie diverse dal nucleare ed ecco allora che nelle acque di confine prima si è cominciato a litigare e oggi si rischia la guerra per il possesso delle isole Senkaku, pochi scogli la cui proprietà, però, dà diritto allo sfruttamento del tesoro energetico sottomarino. Tra i due litiganti il terzo gode ed ecco allora che il Giappone che aveva appena finito di cacciare i marines da Okinawa, li richiama in servizio e l’America incredula viene addirittura chiamata in aiuto dai vietnamiti che un po’ più sud, a loro volta, litigano aspramente con i cinesi per il possesso delle Paracelso, un altro pugno di isole che galleggiano sui preziosi idrocarburi.
Gli yankees cacciati a pedate dai vietcong del Generale Giap tornano quindi sulle spiagge di Da-Nang (ricordate i surfisti di Apocalypse Now?) da alleati di un paese ancora comunista (almeno sulla carta) contro la Cina anch’essa comunista. Uno spasso per gli USA che, inoltre si tolgono la soddisfazione di tornare anche nelle Filippine anch’esse in rotta con Pechino e alla ricerca della protezione dello Zio Sam.
Così mentre il perdente Romney blaterava di pericolo Russia ed era fermo ai vecchi schemi americani miranti al controllo dell’ormai inutile Medio-Oriente, Obama va al nocciolo della questione e, da invitato, si infila nella torta con due obiettivi: impedire che la Cina metta le mani su risorse energetiche che potrebbero renderla meno dipendente dall’estero e, non meno importante, sfilare a Pechino il controllo degli affari e del commercio asiatico. La Cina è oggi il primo partner commerciale di tutti i paesi dell’area e minoranze cinesi, magari con doppio passaporto, sono a capo dei business più importanti in tutti i paesi del sudest asiatico. Una posizione da monopolista, consolidata da politiche accorte quali gli aiuti economici ai paesi più in crisi (Cambogia,Birmania, Laos) e dalla stipula di un trattato doganale di libero scambio tra la Cina stessa e tutti i membri dell’ASEAN, l’associazione dei paesi dell’area.
Una posizione che pareva impossibile da scalzare, ma oltre alla nuova presenza navale gli USA han tirato fuori dal cappello uno strumento dirompente: il Trans Pacif Pact (TPP). Sembrava una idea estemporanea di un Obama in camicia hawaiana, l’anno scorso al vertice APEC di Honolulu, ma la settimana seguente lo stesso presidente, con un’altra camicia sgargiante si presentò alla riunione dell’ASEAN in Cambogia e disse che aveva in mente di creare un’ area di scambio senza dazi tra Canada, USA e Messico da un lato del Pacifico e ASEAN dall’altro.
Tradotto: tutti insieme appassionatamente tranne la Cina che in teoria potrebbe partecipare, ma in pratica non potrà farlo perché le regole del gioco saranno studiate per escluderla. Pechino naturalmente non sta a guardare e nell’area tra Birmania, Cambogia e Indonesia è tutto un tira e molla di corteggiamenti, promesse, tradimenti nel grande gioco delle alleanze strategiche. Un gioco da cui l’Europa dei tecnocrati, presuntuosamente sganciata dalla Russia e quindi dall’Eurasia, è totalmente esclusa. Talmente esclusa da non capire, leggete i giornali, che il motivo del viaggio di Obama non è affatto parlare di democrazia in Birmania, ma di ricreare quegli avamposti militari e commerciali che gli inglesi fondarono e poi gli stessi americani difesero contro l’Impero Giapponese che perse la guerra proprio perché si andò ad impantanare nel Pacifico.
Oggi il nemico degli interessi USA è a Pechino e Tokio è alleata, ma gli elementi fondamentali del risiko son sempre quelli e la guerra, per ora fredda, si combatte ancora sull’Oceano.
Max Ferrari (pag. 7 La Padania del 17-11-2012)
http://maxferrari.net/2012/11/18/alla-guerra-dasia-i-retroscena-del-viaggio-di-obama/
Tags: Max Ferrari, ASEAN, indocina, La Padania, Obama
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