Nella fase in cui si indossano i vestiti dei propri genitori dovrebbero passarci tutti, secondo me, a meno di evidenti incongruenze di taglia e non necessariamente abbinandosi con il genere corrispondente. Perché è una specie di mettersi nei panni altrui anche se lo si fa con il senso della sfida: decontestualizzare un modello che abbiamo avuto come riferimento per dimostrare che nella nostra reinterpretazione funziona di più e si compie il riscatto con i giovani che fanno meglio degli adulti. In pieno periodo Joy Division sfoggiavo un paio di giacche di mio papà di un paio di taglie più grandi, non ero nemmeno maggiorenne e avere quell’aria gotica avvolto in indumenti extralarge conferiva l’effetto David Byrne in Stop making sense. Quella nera del suo abito da matrimonio, risalente al 1960 quindo con un taglio già vintage allora, per il look all black. Poi una grigia a righine verticali scure che poi mia mamma ha scelto come abito per la sepoltura, cosa che mi ha fatto sorridere perché di certo mio padre quel completo non deve averlo mai più indossato da quando lo portavo io, essendo aumentato di stazza per poi ridurre il peso negli ultimi mesi di vita, così ho immaginato che nelle tasche di quella giacca, destinata a vestirlo nel viaggio finale, ci potesse esser rimasto qualcosa della mia adolescenza, spero nulla di compromettente come qualche biglietto dell’autobus arrotolato. Nell’armadio dei miei era rimasto anche qualcosa della loro giovinezza, che in me suscitava curiosità. Come quella specie di polo bianca a rete fittissima da uomo, con il collo segnato da una v blu e il colletto ampio, un residuato degli anni 50 di mio padre che reinterpretavo in chiave psychobilly. A me sembrava un capo di tutto rispetto. Poi alla vigilia di uno dei miei primi concertini con la band di quegli anni lo proposi al mio batterista che non sapeva che cosa mettersi. Ma il bassista, che era quello più influente in fatto di look, con un’occhiata gli fece capire che non era il caso. E anch’io, dopo quel giudizio iniquo, mi ero però fatto convincere dell’eccessiva complessità derivante dall’uso di un indumento che i più non avrebbero capito. Troppo ironico? Poco in linea con la moda? Usare vestiti vecchi e del passato non era ancora in auge, in una fase storica in cui si dovevano ancora chiudere a tutti i costi i conti con la memoria. Quella polo a rete con il collo a v blu, che oggi ricordo molto simile a una maglietta da tennis di altri tempi, poi non so che fine abbia fatto. Di certo noi degli anni ottanta non ce la meritavamo, una cosa così particolare.
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