ALLA RICERCA DEL LEADER CARISMATICO
Meno male che c’è qualcuno che in questo Paese è normale, meno male che c’è qualcuno che non si sente un duce.
Per guidare un partito e per governare non ci vuole chissà che, ci vuole competenza, buonsenso e umanità, ma soprattutto capacità di capire le condizioni della gente e cercare con tutte le proprie forze di risolvere i problemi.
Il carisma, l’infiammare le folle, la retorica dei vaffanculo, e tutto il resto lo lasciamo volentieri agli altri.
La parola “carisma” deriva dal latino, significa dono di Dio, grazia divina e, per estensione, prestigio, ascendente, autorità. Come quasi tutto quello che, nelle credenze popolari, discende da Dio genera superstizioni, inganno e dipendenza.
Se non bastasse, nella nostra povera Italia di Seconda Repubblica, genera anche partiti.
Grazie al carisma (oltre che ai soldi, alle tv e agli italiani) l’arcoriano ha governato per un tempo infinito, fino ad un millimetro della bancarotta del Paese. E’ stato il peggior premier di sempre, ha selezionato la peggiore classe dirigente di sempre, non solo i Letta, i Previti, i Dell’Utri, ma anche le apparenti innocue, Minetti, Brambilla e le meno innocue Biancofiore e Santanché.
Grazie al carisma di Umberto Bossi, 4 milioni di elettori hanno creduto alla ascendenze celtiche dei brianzoli, al Dio Po, all’evasione fiscale come diritto naturale, almeno fino alla divina incarnazione del Trota che ha dissolto ogni cosa.
Poi è toccato a Antonio Di Pietro, eroe di molti, ma di nessun congiuntivo, diventare il simbolo di un partito personale che, anche al netto dei suoi discutibili valori immobiliari, ci ha regalato le maschere di De Gregorio e Scilipoti.
Ora è il momento di Grillo, che con la sua ginnastica digitale toglie il sonno al Colle, sembra terrorizzare il normalissimo Bersani, incanta a vuoto milioni di elettori che sanno tutto sulle sue nuotate, ma nulla dei suoi eventuali programmi di governo. Carismatico al punto da epurare le persone che lo criticano sottovoce, con un semplice clic, nascosto dietro al computer. La sua ascesa prepara il disincanto futuro.
Ma la mania dei partiti personali o quella della ricerca dell’uomo carismatico, sembra continuare.
Lo dimostra il fatto che una gran parte della destra e del centro, una massa di personaggi in cerca d’autore, stanno aspettando che il grande carismatico del momento, Mario Monti, decida di fare qualcosa, qualunque cosa. Con in testa l’idea fissa del carismatico salvatore, ora si sentono orfani ed invocano il leader per eccellenza.
C’è un precedente. Un premier cosiddetto tecnico (molto meno carismatico di Monti), Lamberto Dini, è stato tentato dalla politica di governo. Ha fondato un suo partito, naturalmente col suo nome stampato sopra al simbolo ed ha cercato disperatamente di intrufolarsi in qualche coalizione per poter andare in Parlamento. L’occasione gli fu offerta dall’Unione di Prodi, che, nel tentativo di allontanare il carismatico di Arcore, commise l’errore di imbarcare chiunque, quindi anche Lamberto Dini.
Appena eletto Dini fece tutto il possibile per rovinare l’Unione che lo aveva accolto, cambiò casacca e si ritrovò bello e sorridente dall’altra parte dell’emiciclo, ma sempre parlamentare.
Ora non voglio certamente paragonare Monti a Dini, sono personaggi di calibro diverso, ma c’è sempre un’incognita.
Ammesso che Monti si presenti con una lista sua per non scontentare nessuno e per dimostrare di non scegliere nessuno, ci metta la faccia insomma e sfrutti il suo carisma di leader particolarmente amato dall’Europa ed osannato dal Ppe, che succederebbe se subisse una sconfitta?
Ne deriverebbe una sorta di sconfessione di tutta la politica e di tutte le misure adottate in questo anno da Monti, con relativa messa in mora dell’Italia di Monti in Europa, di quell’Italia che bene o male è riuscita a tamponare la catastrofe frutto della lunga stagione berlusconiana.
Sarebbe difficile a quel punto un recupero di Monti, sia in cariche politiche che istituzionali. Ne vale la pena?