quella sera guardavamo il cielo diventare qualcos'altro e confondersi col riflesso della finestra. non c'erano rumori o musiche o respiri, c'era un colore arancione e una trapunta che si arrotolava sui discorsi taciuti.. si aggrovigliava su quella idea fissa e non riuscivamo a coprirci e a riscaldarci.. ti sei alzato e hai aperto un'anta dell'armadio.. nello specchio ti guardavo gli occhi e mi sembrava di spiarti solo perchè eri di spalle... eppure ci stavamo fissando... arancioni e silenziosi e il tuo pigiama rosso era tenero... e lo erano i tuoi calzini di lana a righe e i capelli arruffati di chi ha smesso di preoccuparsi... di chi non ha interesse a rimanere… chiudesti l'anta dell'armadio e con lei i colori della stanza... non ricordo nulla di te che non sia un film in bianco e nero...
c'era ancora quel buco sul sedile.. di quando mentre mi spingevi ti cadde la sigaretta e per ritrovarla dovemmo seguire l'odore di bruciato... e bruciava tutto in uno spreco colossale... bruciava la mia testa mentre la tua era calata a misurare il danno e l'odore della tua pelle si arrampicava sui pensieri che non dovevo più avere... e mentre impazzivo fra tabacco, fumo e ricordi presenti muschiati e i balsami che non servivano più a placare i dolori... mentre tutto intorno si addensava e pizzicava il naso… tu scendesti dalla macchina e io affondai nella cenere… e chi può dire se ci sia un’altra vita oppure no...
... e mi sarei appoggiata nelle pieghe della pelle... nei tuoi luoghi morbidi… nelle tue gambe di pensieri intrecciati in bilico sulla poltrona... mentre con la mano accarezzavi il bracciolo e con lo sguardo toccavi le parole e le affilavi in una ragione inattaccabile e me la lanciavi contro... non so quante volte mi hai centrato ma qualcosa di inevitabile cominciava a colarmi dagli occhi e le mie mani bagnate non le avresti più baciate… non ti saresti più rinchiuso al caldo e io non avrei mai più accostato i miei fianchi ai tuoi per sentire la mia carne liquefarsi e disperdersi nel letto... saresti stata d'ora in poi una scheggia ghiacciata a viaggiare sottopelle... già rabbrividivo e tu diventavi isoscele... duro... e bucavi la poltrona…
fermo, immobile, pieno e invitante continuavi a fissare il pavimento... non c'era un modo di sospendere il momento... tutto sarebbe marcito e ammuffito e ciò che avrei disperatamente masticato e metabolizzato e fatto mio sarebbe diventato un amalgama dal gusto scuro che brucia la gola... i miei caffé dalle tue mani e le mie sigarette sui pomeriggi ad assaggiare le tue assenze e i tuoi ritorni... non avrebbero avuto lo stesso sapore... tu non lievitavi più sorrisi e io bloccavo un nodo spinato in gola... dovrò nutrirmi da sola...
la seta grigia del silenzio frusciava nell'aria... un sibilo rapido mi trapassò la testa... dov'era la tua musica? sulle scale adesso... in dissolvenza rapida... ti ascoltavo in un eco e mi rimbombi ancora fra le costole…
senza senso…
vuole vederci purezza e nobilta' e non si accorge di quanto potrei farmi male cadendo da un'illusione vertiginosa su cui non voglio stare. mi piaccio perche' tu sei l'amore sei di carne e di terra, non come tutti gli altri ... non capisce che lo raccolgo da terra e lo amo mentre cade sempre piu' in basso... io sono una perdente... quella con le lenti a contatto viola, di colori scuri, e di gesti misurati che scandiscono un tempo molle...
negli occhi degli altri e per gli occhi degli altri... fuori dal riverbero di questi specchi al sole tutto cade cenere a terra o impazzisce pulviscolo nell'aria... ma quale a terra? e quale aria? e a chi spiegarlo se non tornando negli occhi degli altri? perche' spiegarlo poi... io spengo la luce.