Alla ricerca di Nemo (2003, tit. or. Finding Nemo) di Andrew Stanton e Lee Unkrich è, dunque, una sorta di road movie sottomarino, un inseguimento attraverso i fondali più affascinanti e quelli più tenebrosi. Il sistema dei personaggi è organizzato in forma allegorica e molto ironica come un qualsiasi universo umano, con tutte le sue idiosincrasie e le sue stranezze: da Dory, il pesce blu femmina, affetta da deficit di memoria a breve termine, fino agli squali impegnati in un rigoroso e grottesco esercizio di volontà per diventare vegetariani (all'insegna del mantra I pesci sono amici, non cibo). C'è posto per tutto, sott'acqua, e i pericoli non mancano, come non mancano le possibilità di imparare e rimanere incantati, nonostante le devastanti tracce della presenza umana perfino in quell'universo silenzioso.
Soprattutto, trattandosi di un film d'animazione della Disney Pixar destinato ai più piccoli, quest'oceano trabocca di tenerezza, d'affetto e di coraggio (oltre che di professionalità, se si ricordano almeno le voci originali di Willem Dafoe e Geoffrey Rush).
Un dubbio più sostanziale, sulla scarsa originalità narrativa dell'immagine cinematografica, risiede nell'insistenza sul "repertorio" dei fondali, dove i colori e le singole scene alludono a un patrimonio che il cineamatore adulto ha già visto e rivisto. Non posso negare, comunque, che ci sono passi toccanti, come quando la smemorata Dory dice a un riottoso Marlin di non lasciarla sola, perché con lui ha imparato a ricordare (Non voglio dimenticare!), così come ci sono ventate di euforia, come la corsa delle tartarughe lungo le volute della corrente. Con Alla ricerca di Nemo, la Pixar ha confezionato un prodotto che, nel bene e nel male, e nonostante un'animazione ormai datata, ancor oggi mantiene intatto il suo fascino e il suo valore.