«Come localizzare l’io di una persona?». La domanda arriva veloce come un taglio sulla pelle: si sono appena concluse le scene iniziali dello spettacolo, ma questo punto interrogativo continua a bruciare fino alla conclusione. Perché intorno a questa domanda si cesella un arabesco di sviluppi narrativi che costituiscono la trama de L’aggancio, spettacolo che Serena Sinigaglia ha tratto dall’affascinante romanzo omonimo di Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana premio Nobel nel 1991. Siamo a Johannesburg, città in cui popolazione occidentale e popolazione di colore coesistono separate da confini invisibili ma tangibili. Qui si incontrano Julie, ricca ragazza occidentale che si è ribellata ai privilegi della propria classe sociale, e Abdu, giovane laureato in economia e immigrato clandestinamente che se la cava come può lavorando in nero come «rattoppa-motori». Due solitudini che si uniscono ubbidendo alla potenza dell’attrazione fisica, per poi scoprire un vincolo che va oltre le leggi civili, quelle del buonsenso comunemente inteso e quelle della ragione: un vincolo che si chiama amore, devozione, appartenenza. Quando Abdu, il cui vero nome è Ibrahim ibn Musa, viene espulso dal Paese, Julie decide di lasciare la propria vita a Johannesburg e abbracciare quella di lui nel suo Paese d’origine («uno di quei Paesi dove non riesci a distinguere la religione dalla politica, la violenza del potere dalla violenza della povertà»). Dopo un anno e mezzo Abdu-Ibrahim riesce a ottenere il visto per entrare negli Stati Uniti d’America, ma Julie prende una decisione sorprendente, anteponendo il valore della dignità all’amore profondo che prova per lui.L’intensa poeticità del romanzo riecheggia nello spettacolo in tutta la sua densità: merito del lavoro drammaturgico e registico di Serena Sinigaglia, capace di individuare il fil rouge che attraversa l’intera narrazione e di seguirlo con coerenza e compattezza, valorizzando le descrizioni più liriche e i passaggi più efficaci, e concentrandosi intorno alle figure dei due protagonisti amanti. Il talento della Sinigaglia nell’evocare ambientazioni si traduce nella virtù di fare del “teatro povero” un teatro di poesia e immaginazione: qualche bidone su un palco spoglio dà i contorni dell’officina in cui si incontrano i due protagonisti; un abat jour e qualche libro impilato hanno l’intimità della camera da letto in cui i due amanti imparano a conoscersi, dapprima usando il linguaggio muto dell’attrazione fisica e poi scoprendo l’uno nell’altra la propria “casa”. I mesi in cui questa relazione cresce trascorrono in fretta, così come nello spettacolo i “quadri” che scandiscono i loro primi appuntamenti si susseguono in lampi di luce e scene brevi (forse un po’ troppo sintetiche, a voler trovare un difetto in uno spettacolo altrimenti senza sbavature).Cosa determina l’identità di una persona? Un permesso di soggiorno o il senso di appartenenza a una terra, con i suoi valori e le sue tradizioni? Il villaggio da dove viene Abdu-Ibrahim termina dove ha inizio il deserto: il ritorno è un viaggio a ritroso nelle proprie radici (per lui) e alle radici di una cultura profondamente diversa (per lei), alla comune ricerca di un'identità personale, nell’illusione di trovare lo stesso luogo in cui costruire stabilmente la loro vita insieme, di condividere le stesse aspirazioni di vita, gli stessi valori di dignità e di famiglia. La terra di Abdu-Ibrahim è il colore caldo della sabbia (che fuoriesce dai bidoni già in scena), l’odore intenso dell’incenso, il velo che copre il capo di Julie e una musica arabeggiante.L’efficacia della struttura drammaturgica che alterna senza soluzione di continuità dialoghi e cornice narrativa si regge sull’abilità dei due interpreti di mantenersi coerenti con il personaggio e sempre credibili: L'aggancio è, così, un raro esempio di convincente riduzione teatrale di un romanzo.Il linguaggio simbolico, misurato e sobriamente elegante della Sinigaglia è perfettamente interpretato da Mariangela Granelli e Fausto Russo Alesi. Lei, una Julie solare, con l’energia capricciosa delle ragazze viziate e la spregiudicata determinazione consentita dalla libertà di poter essere padrona delle proprie scelte. Lui, un Abdu-Ibrahim interpretato con la consueta meticolosa misura, scavando nel personaggio per farne emergere ogni sfumatura di luce e ombra. La fresca spontaneità della Granelli fa da contrappeso alla perfetta tecnica di Russo Alesi, che mostra senza compiacimenti il proprio talento di trasformista.visto al Teatro Ringhiera il 7.V.2011in scena fino al 15 maggio
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ALLA RICERCA DI UN CENTRO DI AMORE PERMANENTE: L'aggancio al Teatro Righiera
Creato il 11 maggio 2011 da Valed @valentinadoati«Come localizzare l’io di una persona?». La domanda arriva veloce come un taglio sulla pelle: si sono appena concluse le scene iniziali dello spettacolo, ma questo punto interrogativo continua a bruciare fino alla conclusione. Perché intorno a questa domanda si cesella un arabesco di sviluppi narrativi che costituiscono la trama de L’aggancio, spettacolo che Serena Sinigaglia ha tratto dall’affascinante romanzo omonimo di Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana premio Nobel nel 1991. Siamo a Johannesburg, città in cui popolazione occidentale e popolazione di colore coesistono separate da confini invisibili ma tangibili. Qui si incontrano Julie, ricca ragazza occidentale che si è ribellata ai privilegi della propria classe sociale, e Abdu, giovane laureato in economia e immigrato clandestinamente che se la cava come può lavorando in nero come «rattoppa-motori». Due solitudini che si uniscono ubbidendo alla potenza dell’attrazione fisica, per poi scoprire un vincolo che va oltre le leggi civili, quelle del buonsenso comunemente inteso e quelle della ragione: un vincolo che si chiama amore, devozione, appartenenza. Quando Abdu, il cui vero nome è Ibrahim ibn Musa, viene espulso dal Paese, Julie decide di lasciare la propria vita a Johannesburg e abbracciare quella di lui nel suo Paese d’origine («uno di quei Paesi dove non riesci a distinguere la religione dalla politica, la violenza del potere dalla violenza della povertà»). Dopo un anno e mezzo Abdu-Ibrahim riesce a ottenere il visto per entrare negli Stati Uniti d’America, ma Julie prende una decisione sorprendente, anteponendo il valore della dignità all’amore profondo che prova per lui.L’intensa poeticità del romanzo riecheggia nello spettacolo in tutta la sua densità: merito del lavoro drammaturgico e registico di Serena Sinigaglia, capace di individuare il fil rouge che attraversa l’intera narrazione e di seguirlo con coerenza e compattezza, valorizzando le descrizioni più liriche e i passaggi più efficaci, e concentrandosi intorno alle figure dei due protagonisti amanti. Il talento della Sinigaglia nell’evocare ambientazioni si traduce nella virtù di fare del “teatro povero” un teatro di poesia e immaginazione: qualche bidone su un palco spoglio dà i contorni dell’officina in cui si incontrano i due protagonisti; un abat jour e qualche libro impilato hanno l’intimità della camera da letto in cui i due amanti imparano a conoscersi, dapprima usando il linguaggio muto dell’attrazione fisica e poi scoprendo l’uno nell’altra la propria “casa”. I mesi in cui questa relazione cresce trascorrono in fretta, così come nello spettacolo i “quadri” che scandiscono i loro primi appuntamenti si susseguono in lampi di luce e scene brevi (forse un po’ troppo sintetiche, a voler trovare un difetto in uno spettacolo altrimenti senza sbavature).Cosa determina l’identità di una persona? Un permesso di soggiorno o il senso di appartenenza a una terra, con i suoi valori e le sue tradizioni? Il villaggio da dove viene Abdu-Ibrahim termina dove ha inizio il deserto: il ritorno è un viaggio a ritroso nelle proprie radici (per lui) e alle radici di una cultura profondamente diversa (per lei), alla comune ricerca di un'identità personale, nell’illusione di trovare lo stesso luogo in cui costruire stabilmente la loro vita insieme, di condividere le stesse aspirazioni di vita, gli stessi valori di dignità e di famiglia. La terra di Abdu-Ibrahim è il colore caldo della sabbia (che fuoriesce dai bidoni già in scena), l’odore intenso dell’incenso, il velo che copre il capo di Julie e una musica arabeggiante.L’efficacia della struttura drammaturgica che alterna senza soluzione di continuità dialoghi e cornice narrativa si regge sull’abilità dei due interpreti di mantenersi coerenti con il personaggio e sempre credibili: L'aggancio è, così, un raro esempio di convincente riduzione teatrale di un romanzo.Il linguaggio simbolico, misurato e sobriamente elegante della Sinigaglia è perfettamente interpretato da Mariangela Granelli e Fausto Russo Alesi. Lei, una Julie solare, con l’energia capricciosa delle ragazze viziate e la spregiudicata determinazione consentita dalla libertà di poter essere padrona delle proprie scelte. Lui, un Abdu-Ibrahim interpretato con la consueta meticolosa misura, scavando nel personaggio per farne emergere ogni sfumatura di luce e ombra. La fresca spontaneità della Granelli fa da contrappeso alla perfetta tecnica di Russo Alesi, che mostra senza compiacimenti il proprio talento di trasformista.visto al Teatro Ringhiera il 7.V.2011in scena fino al 15 maggio
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