Mi arrivano sempre più spesso richieste di recensioni, la maggior parte delle volte da agenzie, promoter ecc ma spesso anche dalle stesse band o dagli artisti. Diviene difficile star dietro a tutto, volgarmente parlando. E, per quanto io sia amante della musica, curioso per natura, oltre che “empatico” nei confronti di chi tenta di farsi notare nel marasma delle uscite discografiche, seppur mediante uno spazio ridotto come quello offerto dal mio blog, mi rendo conto che non mi è più possibile dare risposte affermative a tutti.
Tuttavia a volte la tentazione di approfondire è forte, e può bastare un feedback, anche semplice e spontaneo per innescare appunto in me quella voglia di saperne di più, che mi induce quindi a trovare il tempo opportuno per aprire le mie orecchie e prestare attenzione al prodotto in questione.
E’ il caso del progetto artistico di Claudio Ferrigato, denominato “Maredomini”.
la bella cover del disco di Maredomini: “Il linguaggio del sognare”
Mi concedo una piccola divagazione personale, ma che mi pare doverosa per capire i motivi che mi hanno indotto all’ascolto e ad apprestarmi con la giusta curiosità alla sua musica.
Si tratta di una persona in qualche modo a me vicina, ma che non sentivo e non vedevo – credo, suppergiù da una ventina d’anni – da quando mi trasferii tredicenne dalla frazione di Menà al comune di Castagnaro. Prima la mia famiglia e la sua erano vicine di casa, e comunque a sua volta ho poi scoperto che mio nonno era fraterno amico di suo padre. Sì, perché Claudio è di una generazione diversa dalla mia, e quindi ero poco più che un bambino l’ultima volta che lui mi vide, e lui già un adulto: insomma, ovviamente ci conoscevamo ma mai mi sarei immaginato che mi sarei ritrovato nel 2014 a discutere amabilmente di musica e di progetti legati a questa, seduti a un tavolino di un bar, dopo un ricontatto avvenuto su facebook.
Sì, proprio il social network per eccellenza, grazie al quale Ferrigato è venuto a conoscenza del fatto che io scrivessi (anche) di musica, mentre io sapevo vagamente che quando era più giovane aveva militato per qualche tempo in un embrionale gruppo cui facevano parte anche i miei cari zii Roberto Salaro alla voce e Daniele Gardon alla chitarra. Un po’ per timidezza, un po’ per ritrosia da parte loro a raccontarsi non ho mai avuto modo di sapere qualcosa di più della loro passione, ma sapevo per certo che fossero bravi e quotati in zona, tanto da potersi permettere di andare in viaggio verso Milano, presso la sede della Ricordi, in anni in cui davvero questa rappresentava la “mecca” per tanti giovani gruppi di area beat, anche se il loro gruppo, di cui Ferrigato era già all’epoca principale autore e compositore, oltre che pianista e tastierista, si muoveva più su territori cantautorali, nel momento di transito verso il prog.
E’ stato quindi per me bellissimo constatare quanto di quella passione e di quel talento si nasconda ancora nell’animo di Claudio, ormai giunto quasi alla soglia dei sessant’anni (ma tanto gli uomini non si offendono se si confessa la loro età!), e vedere l’umiltà con cui si muove anche nei miei confronti che non sono nessuno che conta, sono solo un fervido appassionato che cerca di parlare di musica col cuore e, soprattutto, con onestà. D’altronde Claudio giustamente mi ha contattato anche perché vuole un orecchio per lo più critico, dopo aver raccolto unanimi consensi nel cerchio più stretto delle sue conoscenze. Lo capisco benissimo, è capitato così anche per me in occasione del mio esordio letterario.
Di carne al fuoco ce n’era insomma da servire in tavola durante il nostro incontro. Mi ha raccontato tante cose personali, anche riguardo a mio nonno, che non ho mai conosciuto (porto il mio nome in sua memoria) e che conserverò nel cuore; mi ha raccontato qualcosa di più del “famoso” provino di Milano, nemmeno andato male, ma con la conseguente figura dei “provinciali” (parole sue), seppur con la sfrontatezza dei 17/18 anni. E dei motivi contingenti, anche dolorosi, che hanno portato alla fine prematura del progetto.
Claudio poi da adulto si è dedicato anima e corpo all’azienda di famiglia, cosicchè il tempo speso per alimentare la passione per la musica era sempre più compresso, anche se il pianoforte non l’ha mai abbandonato. Casi fortuiti e personali – che non sarebbe giusto raccontare e rendere pubblici – lo hanno però fatto riavvicinare al mondo delle sette note, quando forse nemmeno lui per primo ci credeva più.
Così, ritrovata la fiducia e il giusto slancio, nel 2011 ha iniziato a raccogliere i cocci e mettere insieme i pezzi di un puzzle musicale lasciato a metà, in tanti cassetti sparsi nella memoria, andando però soprattutto a riscrivere ex novo canzoni, con una maturità evidentemente maturata negli anni.
Lo ha fatto attingendo ancora una volta dalla cerchia degli amici, tutti con conclamate competenze musicali e affidandosi per la supervisione e la collaborazione soprattutto nella persona di Mario Marcassa, stimato tecnico del suono, oltre che proprietario dello studio “Cat Sound” di Badia Polesine (RO) dove poi sono stati realizzati e registrati tutti e 11 i brani che sono andati a comporre questo “esordio” di Claudio Ferrigato, uscito a nome “Maredomini”, suo pseudonimo.
Maredomini che ha scritto, composto e prodotto in modo del tutto indipendente questo disco dal titolo “Il linguaggio del sognare”. Come dicevo, sono molti i musicisti coinvolti, dallo stesso Marcassa ad Alberto Greggio alle chitarre e Paolo Pigozzi alle tastiere e, a completare con lo stesso Ferrigato – principalmente prima voce e pianista dell’ensemble – la bravissima cantante castagna rese Stefania Veronese, in più tracce ospite ai cori. A proposito sono ben due le corali coinvolte: la S.Nicola di Castagnaro, diretta da Francesco Occhi e la S.Costanzo di Villa d’Adige a impreziosire e rendere solenni un paio di brani. Guest star il quotato sassofonista Luca Donini, presente già dalla seconda traccia, l’avvolgente “Fuoco innaturale” e Alessandro “Pacio” Tozzi, la cui splendida voce, emulatrice di quella di Renato Zero, rende notevole la performance sulla traccia d’apertura “Nuove generazioni”, a mio avviso la migliore per distacco di tutta la tracklist del cd.
Nota di merito anche per la confezione artistica, opera di “Ars Imago” e le foto del talentuoso Maikel Bonomi che avvicinano il prodotto a qualcosa di molto professionale.
Venendo alle canzoni, concepite tra il 2011 e il 2013, e quindi con uno scarto non indifferente tra di loro, c’è da dire che sono legate da un’omogeneità di base, sia nei contenuti, con i temi riguardanti maggiormente immagini evocative sulla natura e l’animo umano, spesso mediante soluzioni metaforiche, sia nelle musiche, legate ad un mondo sonoro vicino a quelli dei cari cantautori anni ’70, con escursioni timide in certe sonorità vintage anni ’80 e con gli arrangiamenti suddivisi tra tutti i musicisti coinvolti.
Le liriche dicevo sono immagini, metafore, che forse hanno la pecca di rendere troppo impersonale il frutto della ricerca di Ferrigato che, lungi dall’essere costruita o forzata, corre il rischio di non coinvolgere troppo l’ascoltatore a livello emotivo. Anche nella dolce, delicata “Amore senza fine”, si resta su un piano troppo vago e generico, come se l’autore non volesse del tutto mettersi a nudo, preferendo nascondersi dietro frasi magari poetiche e dal giusto effetto, ma poco intense e viscerali. Lo stesso dicasi del canto, molto educato e raffinato, in un panorama musicale, quello attuale, dominato sempre più da improvvisati sedicenti cantanti dalle scarse doti. Maredomini è certamente intonato e sicuro di sé, ma mancano i sussulti, le scosse che potrebbero in un lavoro simile fare la differenza. Così che i toni finiscono per rincorrersi ma alla fine a confondersi, essendo la voce del Nostro un po’ monocorde. Piccole lacune che non vanno certo ad intaccare il valore generale dell’opera, e poi, diciamolo francamente, senza scomodare miti come De Andrè o De Gregori, non si può certo dire che il loro punto di forza fosse nella vocalità in sé, il loro genio stava in altro.
In ogni caso si tratta come detto di un “nuovo inizio” per questo giovanotto di 59 anni, che ora, ritrovata la voglia di scrivere, vuole continuare a mettersi all’opera e a migliorare ulteriormente. Forte comunque di brani come “Lune smarrite”, molto profonda e onirica, l’avvolgente e sognante “Amanda e Gershaw”, con bell’assolo di chitarra elettrica nel mezzo; mentre la canzone che maggiormente si discosta dal contesto generale è l’invettiva contro la società attuale che viene messa in luce in “Fino a esaurimento scorte”, una delle più convincenti dell’intera raccolta.
Un buon disco, ben suonato e prodotto, magari maggiormente rivolto agli amanti di questo genere ma che non lascia precludere eventuali nuove strade, visti gli interessi e l’amore per la musica mostrati dal proprietario della sigla in 40 anni di attività.