Alla scoperta delle nuove panchine di A: l’Inter di Walter Mazzarri - Dopo quattro anni di soddisfazioni, arricchiti da una coppa Italia da aggiungere in bacheca e due qualificazioni dirette alla fase a gironi di Champions, figlie di un terzo e un secondo posto, Walter Mazzarri volta pagina. “Il mio ciclo a Napoli è finito, vado via”, ha confessato al novantesimo dell’ultima di campionato contro la Roma, ed ecco che, poche ore dopo, si è fatta strada in modo definitivo l’ipotesi Inter. Dal San Paolo a San Siro, dalla pineta di Castelvolturno alla Pinetina di Appiano Gentile, il passo sembra essere breve. In realtà il discorso è più complesso.
La panchina dell’Inter, storicamente, è una delle più calde della massima serie. Mancini e Mourinho, negli ultimi anni, hanno portato alla ribalta un’immagine vincente del club presieduto da Massimo Moratti, ma la recente storia nerazzurra racconta anche ben altre vicende. Quelle non proprio fortunate di Zaccheroni, di Simoni, di Hodgson e finanche di Marcello Lippi, volendo affondare nell’abisso dei ricordi primordiali legati all’attuale patron, figlio di quell’Angelo Moratti che ai cronisti del suo tempo ebbe modo di consegnare la Grande Inter di Herrera. Ma anche quelle più recenti, e non meno nefaste, targate Gasperini, Ranieri e Stramaccioni, alla guida di squadre sempre incapaci di lottare fino in fondo per traguardi importanti e troppo presto estromesse dal giro che conta.
I numeri dell’Inter 2012-2013 sono impietosi: 54 punti in classifica, sedici sconfitte, un girone di ritorno a dir poco da incubo con una serie di infortunati che non si contano più e una media punti, uno a partita, appena sufficiente per la lotta retrocessione, altro che Europa. In questo scenario, a dir poco desolante, è chiamato ad operare Mazzarri. A guardare i numeri, l’allenatore di San Vincenzo sembra essere perfetto per il ruolo che è stato chiamato ad interpretare. L’ultimo suo Napoli, infatti, ha sfiorato il record di media punti in serie A, appartenente agli azzurri scudettati di Maradona. Frutto dei centoquattro gol segnati da Cavani in tre anni, certo, ma soprattutto merito di un’attenta fase difensiva. Un altro ingrediente forte nella dieta-Mazzarri è sicuramente lo sprint finale. Basti ricordare le cavalcate che hanno portato a salvarsi la Reggina, che partiva con undici punti di penalizzazione, alle tre Champions conquistate una volta con la Sampdoria e, come detto, due con il Napoli. Tutto ciò è impossibile da ottenere senza un’adeguata e meticolosa cura dell’aspetto atletico, vero fiore all’occhiello dello staff del neo-tecnico nerazzurro. Da sempre, infatti, Mazzarri si affida al suo preparatore Pondrelli, grazie al quale le sue squadre hanno registrato pochissimi infortuni di natura muscolare.
Allenatore amante dei dettagli, ossessivo nell’applicazione tattica e alla spasmodica ricerca di calciatori che intepretino al meglio le sue idee, Mazzarri dal mercato vorrà soprattutto esterni a tutta fascia e uno o due difensori. Il primo è già arrivato, Hugo Campagnaro, suo pupillo dai tempi di Genova, centrale di destra nella sua difesa a tre, dotato di un dinamismo eccezionale e che si comporta sempre bene sia in fase di marcatura, sia in appoggio o in sovrapposizione all’esterno di fascia. Ironia della sorte, tutti i difensori attualmente in rosa all’Inter, escluso ovviamente l’ex azzurro, sono stati trattati in sede di mercato più o meno insistentemente dal club di De Laurentiis (Silvestre e il rientrante Andreolli su tutti). Dall’altro lato della scrivania, Mazzarri troverà una dirigenza che, sfumato del tutto il sogno europeo, con annessi introiti extra, dovrà accontentarsi delle buone occasioni che offre la lunga sessione estiva, badando innanzitutto a scambiare pedine strategiche e vendere qualche esubero dall’ingaggio pesante (ad esempio Cassano), al fine di alleggerire il monte ingaggi e incassare liquidi da investire.
Tatticamente, lo sanno anche i sassi, Mazzarri attua un 3-5-2 con diverse varianti. La Samp in formato Champions, per esempio, aveva un centrocampo infoltito da tre uomini e comandato da Palombo, con Cassano subito dietro la prima punta, che negli ultimi mesi fu Pazzini. Nel Napoli, che ha avuto modo di allenare per tre stagioni complete di fila, ha iniziato con due mediani (Pazienza e Gargano), spostando di fatto Hamsik sulla linea degli attaccanti. Pian piano, arretrando lo slovacco, è tornato ad utilizzare tre uomini in mezzo al campo, ma mentre l’anno scorso aveva come titolare fisso Inler, prediligendo quindi la fase di possesso, quest’anno l’acquisto di Behrami ha stravolto un po’ il canovaccio tattico. L’uomo di rottura, messo a schermo davanti alla difesa, ha consentito al Napoli di schierare due mezz’ali qualche metro più avanti, in proiezione puramente offensiva, circostanza che ha premiato con diversi gol la propensione agli inserimenti di Dzemaili.
Ci fosse stato Mazzarri in panchina, l’Inter del campionato appena concluso avrebbe schierato, davanti ad Handanovic, una linea difensiva a tre composta da Ranocchia, Samuel e Juan Jesus. In mediana, con ai lati Jonathan e Nagatomo, il terzetto centrale si sarebbe formato con Gargano, Guarin e Zanetti. In attacco, la prima alternativa sarebbe stata Cassano a ridosso di Milito. Una valida variante a questo sistema di gioco avrebbe potuto essere il passaggio al 3-4-3, con l’inserimento di Palacio e il contestuale sacrificio di un mediano a scelta tra il portoghese e l’uruguaiano ex Napoli.
Paolo Esposito