Tra i pianeti del Sistema solare, Urano e Nettuno sono quelli che non hanno ancora visto l’arrivo di sonde automatiche dedicate al loro studio, almeno se si eccettua un loro fugace fly by della Voyager 2 nel 1986 (Urano) e nel 1989 (Nettuno).
L’attenzione della comunità scientifica verso questi pianeti giganti ai confini del nostro sistema planetario si sta però ridestando e il merito è dei ricercatori dell’INAF, che hanno pensato a una missione spaziale specifica destinata allo studio di Urano e Nettuno: ODINUS (Origins, Dynamics and Interiors of Neptunian and Uranian Systems) . Tale missione è stata presentata all’Agenzia Spaziale Europea come candidata a uno dei posti disponibili nel piano di esplorazione spaziale Cosmic Vision per programmi di classe L, ovvero grandi.
“Urano e Nettuno sono due pianeti che hanno risentito degli effetti più violenti nell’evoluzione del Sitema solare. Basti pensare che sono ormai vent’anni che si ritiene che Urano e Nettuno non si siano formati dove si trovano oggi ma abbiano subìto una migrazione spostandosi su orbite più esterne e scolpendo in questo modo la regione della fascia di Kuiper, cioè tutta quella regione popolata di oggetti ghiacciati al di là dell’orbita di Nettuno”. A parlare è Diego Turrini, ricercatore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF, che ha coordinato la proposta della missione ODINUS. “Quindi tutto quello che possiamo studiare su questi sistemi ci permette di capire meglio la storia del Sistema solare. Ma questi due pianeti sono interessanti anche per alcune loro caratteristiche uniche. Ad esempio Urano è l’unico caso di sistema pianeta-satelliti in cui la sua obliquità, ovvero l’inclinazione del suo asse di rotazione rispetto al piano orbitale è di 98 gradi, cioè il pianeta praticamente ‘rotola’ sulla sua orbita. E così è orientato il sistema dei suoi satelliti, che sono sostanzialmente perpendicolari al piano orbitale del Sistema solare. Nel caso di Nettuno poi abbiamo il suo satellite Tritone che oltre ad essere un oggetto geofisicamente molto attivo, almeno dai dati limitati della sonda Voyager, è anche un oggetto che non si è formato in quella zona, poiché orbita in senso opposto agli altri satelliti del pianeta. C’è poi da dire che Urano e Nettuno sono i rappresentanti di quella che sembra la classe più abbondante di pianeti extrasolari nella nostra Galassia, per cui studiarli ci permette di capire meglio quali sono i meccanismi di formazione, perché questi pianeti sono così abbondanti a livello galattico rispetto a quelli tipo Terra o Giove e Saturno”.
“Il programma ODINUS nasce come risposta al bando dell’agenzia spaziale ESA per ridefinire i temi scientifici delle future missioni di classe L” prosegue Turrini. “Alcune tra le ambiziose domande a cui vuole rispondere questa missione sono : quale è stata la storia del Sistema solare? Come questi due sistemi si sono venuti a formare? Cosa ci possono dire nell’ambito dello studio dei pianeti extrasolari? “
Obiettivi ambiziosi appunto, che richiedono un profilo di missione altrettanto avanzato sotto tutti gli aspetti, sia concettuali che tecnologici, come ci spiega Romolo Politi, collega di Diego Turrini, che ha curato lo sviluppo tecnologico della missione ODINUS.
“Il concetto di base della missione è quello di avere due sonde gemelle da lanciare contemporaneamente, secondo due possibili configurazioni: o all’interno dello stesso razzo, come un vero e proprio treno spaziale, in cui le due unità viaggiano agganciate fino all’orbita di Giove per poi separarsi e raggiungere ciascuna il pianeta di destinazione, oppure con due lanci separati, ciascuno ottimizzato per raggiungere nel minor tempo possibile le due mete. Il problema della distanza comunque rimane perché stiamo parlando di oggetti distanti rispettivamente 30 e 40 unità astronomiche. Considerando che una unità astronomica vale 150 milioni di chilometri, il tragitto da percorrere è davvero elevatissimo. Per raggiungere queste destinazioni in tempi brevi, c’è bisogno di imprimere una grandissima spinta alle sonde, cosa che si può fare o con metodi classici, caricando però a bordo del razzo vettore molto carburante, oppure utilizzando nuove tecnologie di propulsione, come la vela elettrica cioè un sistema che sfrutta la potenza del Sole per dare la spinta ai veicoli spaziali, per arrivare a destinazione in 3-4 anni e non i 10-12 anni che ha impiegato la sonda Voyager 2 per raggiungere Urano e Nettuno”.
Seppure la proposta della missione presentata all’ESA non è stata ammessa alla fase finale, quella di realizzazione, l’idea di esplorare Urano e Nettuno è risultata per per i valutatori dell’Agenzia Spaziale Europea una pietra miliare nell’esplorazione spaziale, tanto che il giudizio dato dagli esperti del Senior Survey Committe è stato estremamente positivo: lo studio di Urano e Nettuno è stato ritenuto l’unico tema scientifico, al di là di quelli selezionati, degno di una missione di classe L. Confortati da queste conclusioni, i ricercatori hanno così presentato una versione rivista della missione all’agenzia spaziale cinese, che ha accolto con interesse la proposta. Il nuovo progetto, denominato LOKI, verrà presentato ufficialmente al primo workshop sulla collaborazione a missioni spaziali tra Europa e Cina che si svolgerà il prossimo 25 e 26 febbraio a Chengdu in Cina.
Nettuno e il suo sistema. L’anello più esterno, Adams, mostra due segmenti distinti più chiari (archi) sulla destra del pianeta. Le 26 osservazioni usate per comporre questa immagine sono state ottenute nel dicembre 2004 dallo High Resolution Channel della Advanced Camera for Surveys a bordo del telescopio spaziale Hubble. L’immagine centrale di Nettuno, occultata nelle osservazioni precedenti, è stata invece ripresa un mese più tardi. Crediti: M. Showalter / SETI Institute
“Possiamo dire che la missione è figlia di ODINUS, e non a caso è stato scelto il nome LOKI” spiega Politi, che è il coordinatore della nuova proposta. “È una missione esplorativa con l’obiettivo di sondare l’ambiente attorno a Nettuno e in particolar modo a Tritone, uno dei suoi principali satelliti. LOKI è stata ripensata per avere costi contenuti e impiegare un tempo ragionevole per arrivare a Nettuno. La sonda dovrà avere una massa molto piccola per riuscire a raggiungere facilmente velocità molto elevate che nell’arco di tre-quattro anni siano in grado di farle raggiungere il sistema planetario utilizzando un metodo di propulsione classica. Quindi con LOKI vogliamo dimostrare da un lato che la missione si può fare, dall’altro svelare alcune informazioni scientifiche su Nettuno e i suoi satelliti, in particolare il suo ambiente di radiazione, per preparare al meglio future missioni attorno a Nettuno”.
Nel team dell’INAF c’è dunque molta soddisfazione e una buona dose di speranza per gli sviluppi di questa nuova proposta scientifica. “Nonostante le difficoltà oggettive anche della proposta di LOKI, abbiamo ricevuto dagli esperti spaziali cinesi dei commenti estremamente positivi” aggiunge Turrini . “Infatti tra più di quaranta proposte che sono state presentate e che verranno poi discusse nel workshop, solo quattro riguardano il Sistema solare e una di quelle è LOKI. Quindi nonostante le difficoltà della missione, comprese le limitazioni sulla massa della sonda e sul costo complessivo del progetto, c’è grande attenzione alla nostra proposta non solo in ambito europeo ma anche della Cina. E noi non possiamo che esserne felici e auspicarci una futura concretizzazione delle nostre idee”.
Per saperne di più:
Il sito web della missione ODINUS
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani