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Al mattino seguente, con la prima luce, dopo la mungitura di mucche e capre, era d'uso consumare una prima colazione fredda: una scodella di latte appena munto con una fetta di polenta.Ogni quattro giorni la donna confezionava il formaggio con il latte di capra. Per misurare la temperatura occorrente al caglio, la Sofia immergeva il dorso della mano nel latte che si stava scaldando nella captainsul focolare acceso. Venivano prodotti sia mascarpa, sia śprèś , un formaggio magro confezionato in forme di piccola dimensione. Per rassodare la crosta si usava cospargerla di cenere.Il burro veniva confezionato al venerdì nella penagia (la zàngola) con la panna accumulata mediante la scrematura del latte di ogni mungitura della settimana e conservata al fresco nella cànua (cantinetta). Prima di cominciare quell'operazione, Sofia, introdotta la panna nella zàngola e sistemato lo stantuffo forato, con il coperchio che teneva nella mano destra tracciava un segno di croce sopra la bocca della zàngola, poi la richiudeva e poneva mano all'asta dello stantuffo. Con quel segno di croce intendeva propiziare indipendentemente dagli elementi in causa (temperatura esterna, quantità della panna, sua consistenza) la rapida separazione della panna dal siero e la sua trasformazione in burroUna formella in legno di noce, sul cui coperchio era stato maldestramente intagliato un fiore - che nelle intenzioni di Stèvan, il quale l'aveva costruita durante il primo anno di matrimonio, doveva essere una stella alpina - permetteva di ricavare un pane di burro a pianta approssimativamente ellittica.Il giorno seguente Sofia, traversata la Colma, scendeva fino a Miazzina con il gerlo spallato contenente la merce da vendere. Venduti ai villeggianti il burro, alcune uova, lo śprèś, talvolta la mascarpa confezionata di fresco, con il ricavato acquistava nel negozio del Panighini (quello del Lögh Dént), entro i limiti della disponibilità del denaro appena rimediato, alcuni chili di farina gialla e di riso, strutto, caffè di cicoria, poco pane e poco zucchero. Pasta mai, perché costava troppo.La donna faceva ritorno verso sera, con soddisfazione dei figli, in tempo per aiutarli a terminare di mungere mucche e capre.Quando giungeva la stagione dei funghi, al venerdì sera Sofia e i figli si sguinzagliavano per il faggeto posto dietro il corte della Soliva superiore, in cui i bianchìtt (i porcini) abbondavano. In poco tempo il raccolto era cospicuo e, venduto ai villeggianti di Miazzina, serviva ad arrotondare le entrate.Di norma gli abitanti della montagna non consumavano funghi; erano roba da sciuri (cose da ricchi): non possedevano alcun valore nutritivo, se non a causa del prezioso grasso, sempre usato con parsimonia, che richiedeva la loro cottura. Parte dei funghi freschi venivano fatti essiccare,e anch'essi venivano riservati alla vendita.Quelli in eccedenza erano preda di mucche e capre, che ne erano ghiotte; un venerdì sera alla Soliva, un cestone di porcini custodito nel fienile il cui ingresso era stato dimenticato aperto, servì da pasto, anziché ai villeggianti di Miazzina, a una capra che vi si era introdotta.Filippo Spadoni
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