Da Alfano a La Russa siedono tutti sul banco del governo Ci sono clandestini e clandestini, che poi è la sintesi della domanda di Totò: “Siamo uomini o caporali?”. Ci sono quelli veri, quelli che lo diventano per legge e buoni ultimi, ma sicuramente i più pericolosi, quelli che lo sono non coscienti di esserlo. I primi di solito vanno in giro per il mondo nascondendosi nelle stive e nei container delle navi, nei depositi bagagli dei treni e degli aerei, nei rimorchi dei tir. Non hanno documenti e scappano per le ragioni più diverse: dalla giustizia, dal nemico, dall’attentatore, dal creditore, dal prete pedofilo, dal marito cornuto, dalla suocera. La categoria dei secondi è stata inventata in Italia, dove la clandestinità è un reato a prescindere da tutte le condizioni oggettive e non, e dal colore della pelle, dal sesso, dalla religione, dall’età. Per questi il processo di riconoscimento del reato è lunghissimo tanto che accade spesso che vengono giudicati e condannati dopo rimpatriati. Poi ci sono i clandestini inconsapevoli. Apparentemente persone come noi che godono più di noi di privilegi e impunità, che vanno in giro sulle auto blù, non pagano sui treni, sugli aerei, sulle navi e che se ne vanno in vacanza dicendo che sono in missione per conto dello stato. Sono i membri di questo governo, entrati da clandestini nello Stato Democratico senza documenti, senza patente, senza possederne i requisiti. Non hanno bisogno di essere identificati perché sono tutti lì, con le loro facce che appaiono in televisione e sui giornali, che girano scortati perché altrimenti si perderebbero, che per un po’ di denaro e di visibilità sociale venderebbero la mamma (le mogli, le figlie e le sorelle le hanno già vendute) al capataz di turno. Assolutamente privi di un minimo di conoscenza, non sanno rispondere neppure alla domanda perché il 17 marzo è il giorno della festa dell’Unità del paese che governano. Hanno scambiato la scuola per un orpello, la ricerca scientifica per un giro di Monopoli, l’ambiente per un fastidioso intralcio al progresso e la cultura per il mondo un po’ sciocco e un po’ perverso dei perditempo. Vestono come noi eppure sulla loro maglietta della salute hanno scritto “Sono un imbelle” credendolo un titolo di merito. In questi giorni hanno dato il meglio di sé, capre al pascolo che riescono a brucare solo l’erba del vicino perché hanno nel dna l’istinto del furto. Non rubano per mangiare ma per il piacere di farlo. Non governano per dare un senso alla politica del paese che li paga profumatamente, ma solo per darne uno alla loro vita ché altrimenti sarebbe un contenitore vuoto da riempire con una barchetta, un suv, la casa al mare e una mignotta del raccordo anulare. Sono tutti credenti pur non sapendo cosa vuol dire avere una fede e la loro solidarietà si sviluppa solo nel ristretto ambito delle famiglie di appartenenza. Sono tutti lì. Roberto Maroni che da due mesi sbandiera l’esodo biblico e che quando arriva non sa che pesci pigliare anzi, è scomparso dalla scena. Umberto Bossi che, non sapendo cosa fare (dire è scontato), se ne esce con un “foeura dai ball” neppure bisognoso di un sottotitolo alla pagina 777 di televideo. Angelino Alfano che, pur di far contento il padrone che quando sbaglia lo sculaccia con il gatto a nove code, da di matto e lancia la sua inutile tessera di parlamentare addosso a Di Pietro che la raccoglie, ringrazia e la mostra in tivvù. Maria Stella Gelmini che dopo aver licenziato mezzo mondo della scuola, si ritrova con una class-action di proporzioni bibliche, 40mila insegnanti e ricercatori che le faranno causa e ai quali questo governo dovrà dare 30mila euro a testa. Quanto fa? Forse qualche miliardo. Roberto Calderoli, il clandestino per antonomasia, uno che avrebbe potuto fare solo il guardiano di vacche se non avesse incontrato sulla sua strada il redivivo Bossi-Alberto da Giussano che lo ha promosso ministro; e poi qualcuno si lamenta se Berlusconi manda Nicole Minetti a fare la consigliera regionale in attesa di affidarle gli Esteri. Stefania Prestigiacomo che cura l’ambiente con l’unica terapia che conosce, la deturpazione. Giancarlo Galan che arriva alla cultura direttamente dall’agri-coltura tanto una vocale, per i clandestini, non fa alcuna differenza. Gnazio La Russa che qualcuno dovrebbe convincere a farsi curare (ma nei CIE non ci sono psicologi né psichiatri), che se non bombarda qualcuno non è contento e che passa per il maggior esperto di Risiko e di Battaglia navale del mondo. Renato Brunetta che dopo essere stato trombato a Venezia dove voleva fare il sindaco, è diventato il protagonista assoluto di Chi la visto? surclassando la povera Denise Pipitone che scomparsa lo è davvero. E poi c’è il peggiore di tutti, Giulio Tremonti, il clandestino che governa questo paese detenendone le chiavi della cassaforte. Il ministro del governo clandestino che ha inventato la finanza creativa, quello che “Mimì è una tisica e lo sanno tutti che morirà di tisi” e che “Tosca è una gran bagascia”. Quello che gira il mondo a spese dello stato per andare a impartire le sue lezioni di economia domestica ai camerieri del Ruanda perché quelli del Gabon non lo sopportano più. A tutta questa gente il presidente Napolitano ha detto: “Basta. Non si può andare avanti così. Ditelo che siete clandestini, che il vostro posto è nei CIE e facciamola finita, torniamo a votare”. Appena rientrato dagli Stati Uniti, le prime immagini che Napolitano ha visto in tivvù sono state quelle di La Russa impazzito che mandava affanculo Fini e di Alfano che tirava la sua tessera a Di Pietro. Resosi immediatamente conto di essere tornato a casa, jetlag o no ha convocato i capigruppo alla camera e al senato e gli ha detto chiaro e tondo: “Clandestini siete, clandestini resterete e, dal momento che siete qui, andate affanculo”!
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