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Dev'essere perché siamo in grado soltanto di riconoscere, anziché conoscere immediatamente. Funziona più o meno come per le allergie - chi non ne ha almeno una? - il modo che abbiamo per apprendere. Non si può essere allergici a una sostanza se prima non si è entrati, almeno una volta, anche per un attimo, in contatto con essa. Giusto il tempo per inquadrarla, per compiere una prima valutazione rigorosamente soggettiva. Questa classificazione, giusta o sbagliata che sia, suddivide le cose in due gruppi: quelle accettabili e quelle cattive, quelle che possono passare e quelle che sono dannose per l'organismo. Ad essere cruciale è la seconda volta che incontriamo la stessa sostanza: se si trova nella lista dei cattivi, il sistema immunitario si ribella e le salta addosso, mentre il corpo si gonfia per prepararsi alla lotta. Riconosciamo, dunque, più che conoscere. E siamo a nostra volta riconosciuti dalle cose. Perché mai, altrimenti, esisterebbero detti come 'non c'è due senza tre' oppure 'al peggio non c'è fine' o anche 'i mali non vengono mai soli'. Quando abbiamo un problema o lo abbiamo avuto ce lo ritroviamo scritto in faccia, tipo 'lavori in corso' o 'vernice fresca' o 'traffico congestionato', come accade per i cartelli in giro per la città. Insomma, tutto questo soltanto per dire che, invece di sapere subito le cose, le riconosciamo dopo averne avuto almeno una piccola esperienza precedente, è sufficiente soltanto un approccio minimo. E per sottolineare anche che molte situazioni vanno in cerca di chi le ha già vissute. 'Ripetita iuvant', tanto per dire un altro proverbio che qui non c'entra nulla, e infatti serve soltanto per sottolineare il contrario ossia che non proprio tutte le ripetizioni fanno bene. Parliamo ancora una volta di allattamento naturale, tema scottante che, nell'epoca moderna, suddivide i mammiferi umani, i cosiddetti animali culturali, in due categorie distinte: quelli pro e quelli contro, non è vero che esista una posizione intermedia. Ieri mi chiama la mia amica P., madre di una bambina di un mese, per chiedermi una 'consulenza', neanche fossi un socio della Leche League, e mi spiega che i diversi pediatri che ha consultato sostengono ciascuno una teoria diversa e che quindi non sa a chi dare retta. E' il solito vecchio ritornello, che mi è andato a noia ormai, ma che ogni tanto ritorna e mi ritrova, e innanzi al quale malvolentieri rispondo: c'è chi ritiene l'allattamento esclusivo al seno indispensabile fino ai sei mesi finiti, come raccomanda l'Oms, e chi dice che bastano soltanto i primi giorni, quelli nei quali il neonato riceve tutto ciò che gli è indispensabile per formare determinati anticorpi; esiste il medico che afferma testualmente che "le formule artificiali sono ormai equivalenti al latte umano, se non addirittura preferibili in certi casi" ed esiste invece il dottore per il quale il nutrimento della mamma è insostituibile; ci sono specialisti che si dicono contrari perfino all'uso del ciuccio, della soluzione glucosata, degli infusi di camomilla e di finocchio e della stessa acqua perché li considerano 'fuorvianti' rispetto all'unico alimento previsto in natura per il lattante, il quale per colpa di questi diversivi inizierebbe ad avere nuovi interessi che lo distrarrebbero da ciò che invece dovrebbe preferire; e ci sono scuole di pensiero dove tutte queste cose, diverse dal latte, sono ammesse, ché non è vero che costituiscano una distrazione per il neonato; infine, ma di sicuro avrò dimenticato di citare qualche altro esempio, ci sono pediatri che raccomandano alle mamme di allattare, in modo ovviamente non più esclusivo, fino al compimento del primo anno dei figli; e altri ancora che, al primo arrossamento o prurito della cute, imputano al latte ogni responsabilità e laddove non sia già ipotizzata un'allergia, di sicuro vi trovano un'intolleranza: "Eviti di allattare per qualche tempo e vediamo se la situazione migliora", questa la raccomandazione più ricorrente, ma è già scritto che quell'interruzione non è temporanea ma definitiva.
Per sintetizzare tutto quanto in una riga, ci sono le idee della filosofa Elisabeth Badinter, che vede nell'allattamento un danno e una limitazione per la donna, e ci sono le cosiddette 'talebane dell'allattamento', che considerano la madre quasi come un marsupiale, con il piccolo costantemente attaccato al capezzolo. Insomma, ce n'è per tutti i gusti di raccomandazioni e teorie, ma tutte quante non sono altro che varianti sull'unico tema: allattamento sì, allattamento no. Un argomento cervellotico e innaturale, per quanto mi riguarda, il porsi il problema di scegliere i sostituti del latte materno anche in assenza di motivazioni che riguardano la salute: è chiaro che abbiamo un'alternativa rispetto a ciò di cui la natura ci ha forniti e ben venga la possibilità della scelta artificiale quando è necessaria per salvare un figlio che diversamente non può essere alimentato. Ma porsi il problema, considerandolo alla stregua dell'acquisto di un paio di scarpe in saldo, tipo meglio quelle rosse o quelle nere, mi rende di cattivo umore, proprio perché non mi piace l'idea di problematizzare una relazione affettiva, oltre che spontanea e naturale, come quella che vede insieme madre e neonato nei momenti nei quali la prima dà da mangiare, e non fa soltanto questo, al secondo. Mi piace invece vedere tale rapporto come uno degli ultimi baluardi di istintività, prima che intervengano, molto presto, tutte le convenzioni sociali e culturali che allontano dal mondo della natura gli uomini. E mi piace pensare che la prima ricerca di nutrimento, così come di calore, di conforto e di affetto, non faccia parte del riconoscimento in generale ma, ancora, di un tipo di conoscenza innato con cui veniamo al mondo e che non va tradita per causa di una futile, moderna opportunità.
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