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Alle otto meno un quarto

Creato il 26 maggio 2012 da Cultura Salentina

di Lele Mastroleo

Per questa volta non parlerò di poesia nè di incanto, di alcun racconto e di nessuna magia. Per una volta vorrei parlarvi del dolore. Dolore di quelli grandi, dolore enorme, dolore infinito, quello di un padre che perde un figlio o una figlia. Dolore amplificato dal fatto che quella figlia aveva solo sedici anni.

Sedici anni sono pochi da raccontare, sono facili da riassumere, si spiegano in un attimo, sedici anni sono un battito di ali di farfalla nella vita di ognuno di noi, sono una fiaba al mattino da sussurrare al sole o ad una nuvola.

Sedici anni sono pochi per morire. A sedici anni la luce della vita inizia ad illuminare il sentiero che porta alla gioia, ai sogni, all’amore, che porta allo sguardo di un ragazzo dai capelli ricci e con gli occhi verdi che ti fa battere forte il cuore.A sedici anni hai tutto il cammino da fare, hai tutte le parole del mondo ancora da leggere, un romanzo da scrivere,un bacio in più da dare, un sorriso da strappare,una corsa da vincere, un ballo da inventare,hai ancora da sentire esplodere l’anima ad un sì. A sedici anni non sai cosa possa essere il dolore, il dolore enorme, il dolore infinito, dolore adulto.

Il dolore assoluto è di quelli che non ti avranno più,di quelli a cui,quando chiameranno il tuo nome,non potrai più rispondere. Il dolore di un padre che non saprà mai il perchè.Di un padre che per sedici anni, tutte le sere,rincasando avrà chiesto a tua madre: “Com’è andata oggi, come sta la mia piccolina?” anche perchè per i padri le bambine non diventano mai grandi, rimangono sino al giorno in cui non li rendono nonni “la piccolina”, “le piccoline”. Un padre che avrà messo da parte quattro soldi di quelli per cui “non si sa mai“, di quelli “magari per la bambina, per l’università“. Quell’università che per i nostri padri è stata la base del riscatto sociale, della scalata, del gradino da salire per poter chiamare un figlio “dottore“, finalmente.

Dottore” come il figlio dei ricchi, come il figlio dei nobili,come il figlio “dellu nutaru“, Dottore come il figlio del dottore. Il dolore di un padre che non potrà mai vedere una figlia sugli allori, strappata alla vita, cancellata dalla storia, dilaniata nelle sue speranze da una mano vigliacca. Le 07:45 sono un orario assurdo per saltare in aria, a sedici anni, in una piccola città come Brindisi. Le sette e quarantacinque è un orario criminale da romanzetto giallo, un romanzetto a puntate di quarta categoria. Le otto meno un quarto è l’orario di un treno per andare da Pistoia a Prato, per prendere un caffè con il collega prima di entrare in ufficio, le otto meno un quarto sono quando suonano le campane delle chiese, sono quando a Perugia metto in moto la macchina per recarmi al lavoro. È un orario strano per morire. È un orario che risulta fasullo solo a ripeterlo. Fasullo come molti avvenimenti, che puntualmente accadono, quando qualcuno punta lo sguardo su determinati obiettivi, soprattutto su quelli “sensibilissimi” sotto l’aspetto economico.

Obiettivo Salento, per riassumere. Progetto Salento più precisamente.

Un progetto che parte una ventina di anni fa, un progetto che voleva rendere il Salento meta ambita dal punto di vista turistico. Una marea di piccoli progetti da finanziare, con soldi pubblici,per rendere il Salento una piccola California, un piccolo paradiso turistico nel quale far coincidere alla bellezza delle coste e alla incontaminata natura, una più o meno organizzata forma di ricettività e di intrattenimento. Le buone intenzioni però,come in tutte le progettualità definite in quell’area della Penisola, lasciarono subito il posto a forme indiscriminate di infiltrazioni della malavita locale e ancora dopo, a pericolose commistioni con le mafie di altre regioni,che cercavano vie comode per riciclare denaro ed uomini.

Per alcuni anni, infatti, si è assistito ad un proliferare di villaggi vacanza, cale, residence, costruiti nelle prime vicinanze delle nostre coste, se non addirittura come in alcuni casi, (poi grazie a Dio chiusi e sequestrati dalla magistratura), illustre esempio quel villaggio presso Porto Badisco, a ridosso della spiaggia. E fin qui,mi verrebbe da dire, niente di strano, niente che non si fosse già visto in altre zone d’Italia, nulla di veramente nuovo, tutto sembrava cadere in quell’ottica della “ripulitura legale” dei profitti effettuata dalla criminalità organizzata. Con l’aiuto poi, più o meno inconsapevole, della politica, grazie anche, come dicevamo, a quella fiumana incontrollata dei finanziamenti pubblici.

Ma ad un certo punto il caso ha voluto,che il Salento sia diventato un territorio alla moda, un territorio che all’improvviso si è trovato in casa decine di migliaia di turisti ogni anno,sino ad arrivare a contare mezzo milione di turisti non stanziali nell’estate del 2011. Un affaire, insomma, di decine e decine di miliardi di euro. Sarà stato merito delle notti degli zinzali, delle tarante o delle lucertole fracidane non è dato da sapere; se sia dovuto alla bellezza di un mare incontaminato, all’incanto algido del barocco, alla ricchezza della cucina e via discorrendo non lo capiremo mai. Puntuale, però, come una moda estiva, come un tormentone estivo la parola Salento ha cominciato a rimbalzare in tutte le più varie e disparate località italiane e non, sulle bocche di tutti gli italiani e su milioni di cittadini europei e frotte di ragazzi, famiglie camperiste, clan tendofili, ecc si son riversate nei territori del leccese, brindisino e tarantino.

E qualcuno a questo punto ha fiutato l’enorme affare, gli enormi interessi, la grande montagna di soldi che il Salento rappresenta. Soldi da fare in fretta, soldi da smuovere con urgenza, da smanettare con precisione temporale, perchè loro lo sanno che il Salento è oramai una moda e che come tutte le mode durerà per poco più di un lustro per poi tornare nel suo millenario anonimato.

Loro, chi? Sarebbe molto facile a questo punto dire “la malavita organizzata” o riempirsi la bocca con quella parola tanto consueta ed abusata, “mafia”. Niente di tutto questo. La mafia come abbiamo imparato a conoscere dagli sceneggiati televisivi, dai saggi dell’antimafia, dai resoconti televisivi e giornalistici, non esiste nel Salento e forse non è mai esistita.

“Mafia”, nel nostro territorio, è una parola vuota, scarna di significati, di forma nulla. Parola che ha avuto nascita, vita e sicura morte con la SCU. Parola che ha cambiato radicalmente forma diventando “potentato”.

Il potentato è un’organizzazione criminale subdola e senza regole, al contrario delle mafie, che raccoglie nel suo ambito le peggiori esperienze delle attività malavitose, sommando al potere finanziario di alcuni “notabili” salentini, il potere economico di fuoriusciti delle mafie storiche, in esilio forzato nel Salento e la manodopera balcanica più cinica ed efferata. Il potentato ha trasformato,condizionandolo, il potere decisionale di molti politici piegandolo alla propria volontà, indirizzandolo in alcune decisioni quanto mai strampalate solo per quella sete vampiresca di denaro di cui dicevamo prima.

Ecco come si spiegano molte delle deturpazioni ambientali avvenute negli ultimi mesi, con autorizzazioni veloci ed estemporanee da parte di giunte comunali frettolose e pareri tecnici improvvisati ed istantanei; ecco che si spiegano violenze paesaggistiche ai danni delle coste salentine per favorire squallidi parchi acquatici a mezzo metro dal mare.

Ecco come si spiegano gli ampliamenti di strade regionali e provinciali, ampliamenti che servono solo ad arricchire questi ominicchi e che non hanno nessun senso,sotto l’aspetto della circolazione veicolare, visto che le criticità del traffico non sono per nulla preoccupanti, fatto salvo il periodo ferragostano, quando è numerosa la compresenza di turisti e cittadini stanziali. Criticità che sono governabili con degli ordinari interventi manutentivi e con ordinari interventi di razionalizzazione stradaria. Basti pensare che per l’ampliamento della superstrada che da Talsano va ad Avetrana sono stati autorizzati interventi per 300 milioni di euro (seicento miliardi di vecchie lire) per ampliare una strada di pochi chilometri, sino a farla diventare larga 40 metri circa. “…questa inutile e devastante opera distruggerebbe proprio l’ultima fascia di territorio rimasta, con la più alta valenza paesaggistica e naturalistica delle nostre contrade, annientando definitivamente le ultime velleità di un turismo di qualità (che non si riduca al solo mordi e fuggi domenicale al mare) dei nostri Comuni. Infatti, questa enorme colata di asfalto e cemento, larga circa 40 metri travolgerebbe, irrimediabilmente, centinaia di ulivi, secolari, muretti a secco, gli ultimi lembi di pregevole macchia mediterranea, pinete, itinerari turistico-naturalistici ed aree ad alta valenza storica-archeologica…”, leggo su “La Voce di Manduria” ad opera del Comitato di tutela.

Basti pensare all’ampliamento della Maglie-Otranto, altra cattedrale inutile, che costerebbe ai cittadini ulteriori 75 milioni di euro circa (per 14 chilometri circa, quasi 6 milioni di euro a chilometro). Con un ulteriore costo dal punto di vista naturalistico, cioè con l’enorme rischio di dover abbattere migliaia di ulivi secolari, che sommerebbe scempio allo scempio, solo per poter dare modo a qualcuno di poter mettere tantissimi soldi in saccoccia.

Per questa volta non ho parlato di poesia, ho cercato di parlare di dolore. Quello di un padre che perde una figlia, quello di un territorio che perde la propria identità, quello di una terra silenziosa, magica che amava schiacciare il male sotto i calcagni con una danza frenetica, quello di una terra malata di asfalto e di rifiuti che ama squarciare delle vite umane, delle bimbe di 16 anni con bombe a tempo.

Tempo. Come quel poco che rimane per darci un futuro certo, lontano dalle mode, un futuro di legalità, lontano da strategie lobbystiche dei vari potentati d’affari. Un futuro vero, nel quale ritrovarci per ballare sino all’alba, con in sottofondo una musica antica, con in faccia quel vento largo che viene dal mare e che ci serve per respirare.


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