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Quando avevo letto qualche anno fa il primo volume della trilogia dedicata al commissario Michele Balistreri, Tu sei il male, ero rimasta folgorata non solo dalla scioltezza della scrittura di Roberto Costantini, ma anche dalla costruzione narrativa del romanzo, capace di unire passato e presente e di intrecciare la vicenda umana e personale del protagonista con quella della storia politica e sociale dell’Italia.
Ebbene, tutte queste caratteristiche della scrittura di Costantini si ritrovano anche nel secondo romanzo della trilogia, Alle radici del male, che – come ci suggerisce il titolo – risale indietro nel tempo e racconta eventi cronologicamente anteriori a quelli trattati nel primo volume.
In Alle radici del male la vicenda si snoda tra la Libia degli anni Sessanta, prima del colpo di stato di Gheddafi, e la Roma dei primi anni Ottanta, non molto dopo i fatti relativi all’assassinio di Elisa Sordi con cui inizia il primo volume.
Scopriamo così che Michele Balistreri ha trascorso tutta la sua infanzia, adolescenza e prima giovinezza a Tripoli, dove la famiglia di suo nonno materno si è trasferita nel dopoguerra. Potremo così scavare non solo nel passato di questo commissario così politicamente scorretto che abbiamo già avuto modo di conoscere con tutti i suoi pregi e difetti nel precedente volume, ma anche nelle trame oscure che la politica italiana ha intessuto negli anni Sessanta per assicurare al nostro paese quelle basi del boom economico che erano indispensabili per costruire il potere politico ed economico di un’intera classe politica e dirigente.
La prima parte del romanzo, quella appunto ambientata a Tripoli e che si conclude con il rientro forzato in Italia degli italiani che lì vivevano dopo il colpo di stato di Gheddafi, è davvero di grande intensità narrativa e ci trasporta potentemente in un paesaggio e in un’epoca lontani dai nostri, ma tratteggiati con grande vividezza. In questa prima parte il giallo è di fatto una scusa per parlare della storia dell’Italia e per far emergere quell’intreccio di potere politico ed economico che continua ad esserne la caratteristica prevalente.
Nella seconda parte, troviamo un Balistreri adulto e disilluso, che quasi suo malgrado deve occuparsi del caso di omicidio di una giovane donna e contemporaneamente proteggere la figlia un po’ scapestrata del suo capo gravemente malato. Mondi e situazioni così lontani si dimostreranno legate da un filo rosso che riporterà Balistreri indietro nel tempo a dipanare misteri rimasti insoluti.
Come il primo volume, anche questo secondo – che pure è ancora più lungo dell’altro – si legge tutto d’un fiato. La lettura è appassionante e ricca di colpi di scena, di intrecci costruiti con sapienza e acume da Costantini, fino al momento in cui tutti gli indizi e i pezzi mancanti si ricompongono dentro un quadro di insieme sorprendente, anche se forse un tantino forzato.
Non voglio dire che il risultato finale non tenga o non sia soddisfacente; registro solo il fatto che probabilmente Costantini di tanto in tanto si lasci prendere un po’ la mano e finisca un po’ per strafare. Al contempo, nonostante l’arguta composizione narrativa che nella seconda parte del volume dà compimento a tutte le premesse della prima metà e riacciuffa anche filoni sviluppati nel primo romanzo, le aspettative suscitate da una prima metà del volume di grande respiro e suggestione risultano in qualche modo tradite o quantomeno parzialmente deluse da una forma di ripiegamento sul personaggio di Balistreri.
La foga distruttiva del Balistreri adolescente che riempie la prima metà del libro allargando lo sguardo dall’intorno familiare alle vicende nazionali coinvolge il lettore in un gioco di identificazione e prese di distanza che resta la componente più appassionante di questo volume.
Voto: 4/5
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