E qui sono tutti amici, come una grande famiglia. Qui c’è sempre allegria e voglia di fare. Circa 1.500 abitanti che si aiutano, organizzano, inventano, si divertono. Siamo a Dolcedo, in provincia e sopra Imperia, in questa bella Liguria di Ponente a due passi dalla mia valle. Siamo anche a due passi dal mare e circondati da un azzurro cielo e un verde dalle sfumature argentee. Il paesino, collocato nella parte di entroterra chiamata Val Prino, è circondato da ulivi e mimose e bagnato dal torrente omonimo alla valle e dal rio Boschi. Piccolo e caratteristico questo borgo, che in dialetto noi chiamiamo Duceu, è attorniato da tante minuscole frazioni come Bellissimi, Isolalunga e Lecchiore. Intorno al XII secolo e prima ancora, fu proprietà di diversi conti e marchesi fino a divenire, nei primi anni del 1600, parte della comunità di Porto Maurizio, ossia quella che tutt’ora è la parte di Imperia più ad Ovest. Furono però solo i monaci Benedettini a coltivare gli ulivi, insegnando quest’arte anche alla popolazione. Crearono anche frantoi e tutte le apparecchiature dell’epoca, atte a produrre quel che è diventato oggi l’Oro della vallata. Un paese che ha sempre avuto voglia di fare, come vi dicevo prima, pieno di allegria. Guardate ad esempio in chi mi sono imbattuta. Sentivo buona musica. Degli strani tizi che cantano e suonano a meraviglia! Oh! Ma sono i Long Island Band! Conosciutissimi in questa zona! Urlano al vento le cover più popolari che ci siano, mi vien voglia di ballare, sono bravissimi ma non posso, devo continuare il mio tour e sotto le note di “Have you ever seen the rain“, un pezzo forte dei Creedence Crealwater Revival, mi allontano. Lascio qui davanti, qualcun altro a scatenarsi! Gente che saltella felice e bimbi che giocano con oggetti antichi che oggi, non si vedono più. Sembra di essere nel paese delle meraviglie. Le persone sono accoglienti e le case intorno di una bellezza tipica e caratteristica della mia regione. Si affacciano sulla strada principale alcune. Altre invece sono tutte da scoprire nella parte più intima e centrale del paese. E’ la parte che porta al torrente costeggiato da una mulattiera che, se percorsa, fa giungere sino a un prato usato per feste e sagre d’estate. Per arrivare a questa stradina, si può passare dagli scalini dei carrugi e trovarsi negli angoli classici di questi borghi, sotto le case, di fronte alle cantine e alle vecchie stalle, oppure si può attraversare un enorme portone che collega due piazze, quella del paese a quella della chiesa. La chiesa medievale di San Tommaso Apostolo che subì un restauro nei primi anni del 1700 così significativo da cambiarle completamente lo stile. Bellissima sia fuori che dentro. Parecchio grande. Tutta colorata da un bel blu vivace e un oro sgargiante. Ma non è l’unica chiesa. Tra chiesette, cappelle e oratori, come quello di San Lorenzo dotato di due piccoli campanili (che potete vedere nella seconda foto di questo post), Dolcedo è sicuramente uno dei paesi con più architetture religiose di tutta la valle. Ma torniamo nei carrugi. Dove le case sono ancora abitate. Dove risuonano i rumori di pentole che sbattono e fuoriescono dalle finestre aperte profumi deliziosi di una cucina che permane. Gli abiti stesi attraversano queste piccole viuzze da parte a parte, rimanendo sospesi nell’aria umida che sale dai vicoli ombrosi. Il rumore del torrente rieccheggia tra le vicine pareti, fredde, spesse, spezzate di tanto in tanto da porte massicce in legno o scale di pietra. Scorre veloce spumeggiante e formando piccole cascatelle, sopra i massi, sopra l’erba, tra le piante. E si può notare la sua bellezza da parecchi punti di Dolcedo perchè anche la strada principale, che lo attraversa, passa sopra al fiume. Ed è bellissimo vedere i piccoli ponti in pietra, le case di vari colori sulle sue rive. Gli alberi coraggiosi che ci vivono di fianco e noto che, grazie ad alcune scalette, si può scendere ancora più vicino a lui. La strada principale è molto larga e subito dopo la curva divide il paese in due. Divide anche la grande piazza formandone due più piccole. In una di queste, quella più a valle, c’è uno spazio molto carino nel quale sono stati costruiti una splendida fontanella a più strati e una statua raffigurante il busto di un uomo dallo sguardo severo che ahimè, non ho capito chi è. So soltanto che ai suoi piedi, sui suoi gradini, si siedono assieme bambini e ragazzi per giocare e chiacchierare. Le bandierine appese sopra di lui, immagino siano un rimasuglio di Carnevale, ma son così carine che io le lascerei tutto l’anno. Dolcedo ha davvero un’atmosfera tutta sua. Le corti di case imponenti, realizzate con l’amica pietra, lo incorniciano di un verde cupo, intenso. Tanti, in questa stagione, sono gli alberi ancora spogli, ma prevedo un Dolcedo ancora più lussureggiante con l’arrivo della primavera in quanto piante, ce ne sono davvero molte. Sbucano tra le abitazioni appiccicate tra loro quasi a formare uno scudo. Uno scudo che, a prima vista, sembra impenetrabile. Arroccate una su l’altra. Unite, sembrano un caseggiato unico. Il guscio stesso del paese. Allora, vi è piaciuto Dolcedo? A me molto. Ora direi che dobbiamo rincasare però, è arrivata la luna e il paese inizia ad essere avvolto dall’oscurità e da una fantastica tonalità di lilla, ma anche da un’atmosfera molto particolare grazie ai suoi lampioni e alle finestre accese. Buon riposo topi, alla prossima.