Linea 68, fine giornata. L’autobus è pieno, ma inizierà a svuotarsi non appena superata la seconda metà di Corso Vittorio. Lasciato alle spalle Palazzo di Giustizia, infatti, restiamo in tre: una ragazza sul fondo chiacchiera con un’amica al telefono mentre un ragazzo più discreto siede in testa al veicolo. Se ne sta dietro due grosse lenti da vista, la testa china su un leggero doppio mento che di profilo lo fa sembrare più adulto di quanto non sia. Fuori Torino cambia in fretta, senza che lui se ne renda troppo conto. Legge un libro sottile, giallo e pallido; uno scontrino fa capolino tra le pagine, più avanti rispetto al punto di lettura. Noto la sagoma di un disegno ma faccio difficoltà a riconoscere le lettere e strabuzzo gli occhi più volte. I due sembrano conoscersi bene: l’attenzione che dedica alle pagine, infatti, può esser solo quella che ci regala una lettura fresca, o una particolarmente cara; la copertina porta i segni di una certa confidenza, acquistata con il tempo. Lo sguardo è fedele e non sembra oltrepassare il rettangolo cartaceo. Anche Torino è casa.
Arriviamo a Trapani-Est con insolita rapidità e l’autobus frena qualche metro prima della fermata. Scendiamo tutti, lui per ultimo, quasi disorientato. É un attimo, ma si guarda attorno, alza il capo e si ritrova. Carlo M. Cipolla sempre aperto, sempre alla mano; Allegro ma non troppo, quasi fosse una certezza.
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