Il calcio, sarà pure un luogo comune, è un gioco che appartiene a tutti ed esalta, in primo luogo, chi lo pratica, offrendo sia un arricchimento individuale, sotto l'aspetto fisico e psicologico, sia importanti esperienze che contribuiranno per sempre a formare parte del vissuto “umano”. Un gioco che, ai massimi livelli, si trasforma inevitabilmente in “business” e riesce a movimentare in Italia un'intera economia, attraverso decreti legge “su misura” che consentono di rateizzare e posticipare nel tempo il pagamento allo Stato delle imposte evase, capace di celare per poco tempo, all'interno di uno stadio o davanti ad un televisore, alcuni dei molteplici problemi di una nazione: il vero oppio del popolo. Quando il business diventa esasperato, purtroppo, sembra poter valere ed essere concesso davvero tutto, come le partite “arrangiate”, gli scudetti “dopati”, i bilanci “falsati”, per un pallone che, calciato da alcuni dissennati, ha corso veramente il rischio di finire per sempre in un burrone. Eppure, sempre di gioco si tratta, il più popolare, affascinante e praticato al mondo, così seguito da suscitare forti sentimenti di indignazione popolare od autentiche interrogazioni parlamentari, fiumi di chiacchiere al bar e, persino, quando collegato tristemente ad episodi di violenza, servire da spunto per un il titolo di un tema d'italiano scritto in una lontana sessione estiva di maturità classica degli anni '80. All'interno di questo gioco o show business, componente attiva, è presente anche la categoria degli allenatori dalla quale dovrebbero partire forti segnali per stemperare i toni e sdrammatizzare l'ambiente “pallonaro” con tutte le problematiche connesse alle varie componenti che vi gravitano intorno. Per non dover più subire le schermaglie di allenatori sui network televisivi, le corse esagitate sotto la curva avversaria o i calcioni rifilati ai colleghi avversari di panchina, per evitare di dover indovinarne un labiale scurrile sin troppo scontato, per non assistere alle immagini di tecnici squalificati che dettano istruzioni dalla tribuna con il cellulare al proprio “secondo” o che, furtivamente, si introdurrebbero in un cesto di panni della biancheria nello spogliatoio della propria squadra per eludere i divieti di una squalifica, si rende opportuna un’autoregolamentazione, un codice positivo e propositivo, ancorché non scritto che ciascuno di noi, spesso, ha già scolpito dentro di sé, nell'interesse della categoria e del movimento sportivo intero. Una ricerca ed una richiesta di equlibrio, soprattutto perché i bambini ci guardano e ci prendono ad esempio.
Tratto da "Nella valigia dell'allenatore" Ed. Calzetti & Mariucci (2^ edizione)